di Cristiano Abbadessa
Qualche volta può essere interessante cercare di scoprire se è nato prima l’uovo o la gallina. O, se preferite una domanda meno capziosa e più popolaresca, capire se è davvero meglio l’uovo oggi della gallina domani.
Penso, nel caso, alla nascita dell’editoria a pagamento. E mi chiedo se il primo a proporre il “servizio” sia stato un editore che, ragionando in base alla stretta logica di mercato, ha individuato la gallina di un grosso business, semplicemente rilevando la ben nota esistenza di migliaia di aspiranti autori, molti dei quali disponibili a sborsare di tasca propria pur di essere pubblicati, e decidendo di sfruttare il filone. Oppure, se un piccolo e malmesso editore si sia trovato nella condizione di non poter pubblicare un libro meritevole per mancanza di liquidità e, pur di cogliere l’ovetto di giornata, abbia, magari con qualche tentennamento, fatto capire all’autore che un contributo alle spese di produzione sarebbe stato necessario per non condannare all’oblio un’opera in cui entrambi credevano.
Magari non è poi così importante conoscere la genesi di questa storia, ma è certo che nella vituperata editoria a pagamento hanno convissuto, fino a oggi, questi due filoni: da un lato chi ha compiuto una scelta strategica precisa e di ampio respiro, finalizzata allo sfruttamento intensivo di un mercato consistente; dall’altro chi ha più semplicemente messo a tacere alcuni scrupoli morali e professionali pur di assicurarsi in anticipo il rientro dai costi di lavorazione e produzione di un libro meritevole di pubblicazione.
Chi appartiene al primo genere di editore a pagamento, probabilmente oggi ricicla la propria fornitura di servizi verso nuovi orizzonti. Per esempio, tema di gran moda, si è magari già attrezzato per lucrare qualcosa dalle nuove forme di autopubblicazione non cartacee, fornendo all’autore-redattore-editore quell’anello mancante costituito dalla trasformazione tecnica del prodotto nei formati digitali a norma; oppure ha predisposto piattaforme di vendita nelle quali promette di dare visibilità alle autoproduzioni. Ragionando in pura logica di mercato, questo ex editore a pagamento sposta il suo core-business dove ora appare più conveniente. E se è vero che può chiedere al singolo cliente molti meno soldi, è anche vero che, proprio per i costi più abbordabili, può aumentare il numero dei clienti stessi, pescando fra tutti gli aspiranti autori e non solo tra quelli ben forniti di denaro.
Ben diverso è il destino dell’editore a pagamento “suo malgrado”, che magari fino a oggi è riuscito, chiedendo molto, a far rientrare nel servizio anche un dignitoso lavoro redazionale non richiesto dall’autore; cosa che non potrà più fare, visto che il nuovo mercato digitale consente a un autore di autopubblicarsi con poche centinaia di euro e che non esistono margini per fare alcuna cresta.
Chiarisco, a scanso di equivoci, che non sto facendo l’elogio funebre di un ipotetico “editore a pagamento etico”. Nell’editoria a pagamento non ho mai creduto, non foss’altro perché come minimo finisce per discriminare gli autori in base al censo, e non alla qualità letteraria, e perché, nell’ipotesi migliore, si può al massimo tradurre in una fornitura di servizi a un autore-editore, distaccandosi per ciò stesso dalla sua natura originaria di editoria. È però vero che il secondo tipo di editore a pagamento di cui sopra è un soggetto imprenditoriale che non ha compiuto una scelta precisa ma ha cercato di arrangiarsi; in definitiva, il suo scopo non era quello di sfruttare l’esistenza di un bacino di autori disposti a pagare, ma di cercare qualcuno (sarebbe andato bene chiunque: un mecenate, uno sponsor, una forma di abbonamento) che mettesse sul piatto i soldi necessari per lavorare e produrre una buona opera.
Nella teoria, lo sappiamo, questi soldi dovrebbero venire dal mercato delle vendite. Ma, per un piccolo editore, quasi mai gli incassi bastano a ripagare il lavoro e la produzione. È per questo che noi, circa un anno fa, cercammo di rispondere al bisogno attraverso una formula di abbonamento e sostegno, che non diede i risultati sperati. Senza quei risultati, giacciono nel nostro cassetto cinque o sei opere che già da tempo meriterebbero di vedere la luce; per tacere di quelle che giacciono nei cassetti degli autori e che potrebbero essere adatte alla nostra linea editoriale.
Alla fine, la vera differenza “etica” che mi sento di dire ci separa dagli editori di cui sopra sta nella chiarezza e nella trasparenza, nel dichiarare o nascondere le proprie strategie di mercato, i problemi incontrati e le finalità di un modus operandi. Siamo nati per allevare galline, e la cosa più triste è trovarci a dover buttar via anche un piccolo ovetto.