Vi siete mai immaginati come porte?
Io sì.
Intendo nei confronti delle persone che frequentiamo, amici, conoscenti, parenti.
Con alcuni mi sento la porta con la scritta “entrata”; con altri “uscita” e nel retro alcuna maniglia per ripensarci.
Per alcuni sono la porta con scritto “toilette” ove gettare,vomitare, svuotare.
Con altri mi sento “ripostiglio”, oltre il buio e il silenzio.
Mi immagino come una porta a vetri con alcuni, non servono tende o coperture quando si è limpidi e chiari; mi immagino chiusa a chiave, con lucchetti a tripla mandati, per pochi ma ben definiti, e con nessuna intenzione di aprire.
Nel quotidiano, con contatti sporadici, mi ritrovo porta con la scritta “spingere” o “tirare”, dipende dal tempo, dall’attenzione, dal caso, dai fatti, dall’umore.
Le mie porte, nel mio immaginario gioco di ruolo, non hanno campanello; la gente arriva e apre, troppo spesso non bussa neppure.
Io alle volte ho parte attiva nelle scritte fuori dalla porta, le metto io. Altre invece, mi tocca sporgermi per leggere cosa vi è affisso, quando non sono io l’artefice del fatto, ma chi la porta l’ha aperta.
C’è poi un caso, lo sento, lo percepisco, chiaro e netto, anche quando confuso; c’è un caso in cui sulla porta ho trovato scritto “uscita d’emergenza”. Una porta da sfondare, aprire di corsa in caso di bisogno, quando il troppo sarà troppo, quando la marea si alzerà fino a soffocare, quando sarà ora di scappare.
Già è stata socchiusa, diverse volte, ma poi richiusa.
Ecco, così mi sento, talvolta.
In questa porta, non metterò alcuna chiave.
Chiara