La 13esima fatica di Lollo
Creato il 31 luglio 2011 da Lollo
Prendete un ragazzo quasi pelato e quasi 24 enne che finiti gli esami al 29 di Luglio decide di tornare a casa, nella sudaticcia provincia milanese. Trasloco completo, dalle scarpe alle riviste patinate. Vanity Fair è la prima cosa che impacchetto, cestinando Barbara Berlusconi ma tenendo Bianca Balti, tentennando su Silvia Toffanin nessun dubbio per Elio e le storie tese: macero immediato. Torno a casa ed è subito festa direte voi, per me no. E’ subito pulizia, sgombero. Ho buttato via dei vestiti che nemmeno la vostra catechista (sono notoriamente le peggio abbinate sulla faccia del sistema solare) avrebbe avuto il coraggio di indossare.
Sabato 30, compleanno del papi. La ciurma di casa adempie ai festeggiamenti in un ristorantino molto chic ma dall’aria spartana in cui abbuffarsi di carne, piatto che non può mancare nel menù di una famiglia in cui lo shock sarebbe avere un figlio vegetariano piuttosto che omosessuale. Tra venti giorni è il mio compleanno e avanzando un regalo ho optato per la salvaguardia ufficiale dei miei occhi chiedendo a mammà (colei che idolatra il buon gusto) un paio di occhiali da sole. Quale fatica. Sono mesi che passando davanti ad ogni ottico scruto vetrine, guardo i commessi, osservo eventuali pubblicità. Mi guardo attorno e cerco di capire quale montatura possa farmi sembrare una persona dotata di stile ma nello stesso tempo di cervello.Non è da sottovalutare la scelta di un occhiale da sole. Quelli da vista non li tengo in considerazione perché avrei bisogno di una ricerca sociologica, probabilmente ci metterei meno a prendere la seconda laurea piuttosto che a decidere il giusto modello. Quindi sabato pomeriggio prima del ristorante tutti a fare da stylist per me. Ecco, non fatelo. Il giorno del suo compleanno mio padre avrebbe voluto tutto tranne che mettersi a girare negozi per comprare il mio di regalo, nemmeno il suo, il mio.
Mia sorella, un amore di sorella, cercava di incoraggiarmi mostrandomi le montature più audaci senza rendersi conto che non solo ho una reputazione da difendere ma anche una dignità, quel briciolo che ancora mi rimane dopo aver indossato una treccina in fronte da hippy imitando Margherita Maccapani Missoni. E poi mammà, punto di riferimento nella mia vita grigia per le argomentazioni su buon gusto, classe, raffinatezza. Lei, vera esperta a farmi sentire un cesso con un viso inadatto a qualsiasi modello di occhiale progettato dai migliori stilisti, ha decretato il suo successo in questo afoso pomeriggio. “Prova questi Armani” “No, sono troppo grossi” “Hai il viso tondo, non vanno bene” “E questi con la montatura opaca, sono molto chic”. “Questi non li ha nessuno” “Devi prendere un paio classico, che non stufi e che non vadano di moda” “Devi distinguerti dalla massa”. “Questi? No, sono luccicanti”. Sembrava un momento surreale, io inghiottivo queste pillole del buoncostume mentre provavo ogni e qualsiasi genere di occhiale. Poi da lontano vedo una faccia conosciuta, riesco a scorgere dalle lenti rosate di Dolce e Gabbana suggerite dalla crisi adolescenziale di mia sorella, un viso conosciuto. La mia compagna del liceo.Non una compagna qualsiasi. Quella compagna. Tutti hanno in classe alle superiori la “figa”, quella che potrebbe mettersi anche una palandrana in faccia che non succede nulla. La messia del perizoma che esce dai pantaloni a vita bassa, la campionessa di “tette strizzate”, quella che non ha mai letto un libro in vita sua ma che raggiunge un punteggio più alto del tuo alla maturità. LEI.“Come stai? Che fai? Questo è il tuo ragazzo? Ah che belli che siete insieme” e tutte quelle cose che si dicono ma che poi si riferiscono alle amiche in altro modo. Una volta ritornato alla realtà capisco che è giunto il momento di prendere una decisione.Escluse venti montature ne rimangono due. (Passa la balla di fieno e suona la canzoncina Far West).Impugno i primi. Rayban squadrati, tartarugati scuri ma opachi, lenti chiare. Effetto sapiente, quasi da divo mancato, faccia da ebete lesso con contorno di patate bollite.Inforco i secondi. Persol, scuri, forma quasi arrotondata. Mia madre sorride, mio padre smette di mangiare caramelle al limone che ruba dal cestino vicino alla cassa, mia sorella non mi guarda con aria schifata.E vittoria fu.
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