La 1a impressione è quella che conta

Creato il 05 novembre 2011 da Maurizio Lorenzi

La prima impressione è quella che conta

Attenzione però: non è quasi mai quella giusta. Conoscere il meccanismo del cosiddetto “effetto primacy” può aiutare ad avere meno pregiudizi

di Dalila Liguoro

Le vacanze sono finite ed ecco che inizia la rentrée, molte persone incontreranno nuovi colleghi, nuovi datori di lavoro, nuovi clienti; altre, più giovani, incontreranno nuovi professori, nuovi compagni di classe e di conseguenza vi è chi incontrerà nuovi allievi e nuove situazioni da sfruttare e gestire.

Questo è quindi il periodo delle possibilità e dei nuovi incontri, spesso incontri importanti che ci si porterà dietro per un po’, e dai quali dipenderanno molte cose, dall’atmosfera lavorativa alla nostra reputazione, dal nostro presente al nostro futuro. E’ chiaro dunque che queste nuove occasioni e questi nuovi incontri non possono essere gestiti con troppa leggerezza, ma è necessario un po’ di ingegno e qualche conoscenza dei meccanismi sociali, per poter ottimizzare al meglio questi importanti momenti.

Effetto primacy

La cosa più importante da sapere per sfruttare al meglio le situazioni, è che a fare realmente la differenza sia proprio la prima impressione; questo è un concetto noto a molti, ma come tante altre cose e tanti altri insegnamenti, non sempre viene seguito e non sempre gli viene dato il giusto valore e quando questo avviene rischiamo di trovarci in situazioni spiacevoli dalle quali uscire è difficile.

Cerchiamo allora di comprendere concretamente l’importanza della prima impressione così da gestire meglio gli incontri e le occasioni per noi importanti. Voglio invitarvi a leggere il seguente brano:

“Finite le lezioni, Jim uscì dalla classe da solo. Fuori dalla scuola, iniziò la sua lunga camminata verso casa. La strada era inondata da un sole splendente. Jim camminò sul lato ombroso della strada. Lungo la strada, vide venirgli incontro la ragazza carina che aveva incontrato la sera precedente. Jim attraversò la strada e entrò in un negozio di caramelle. Il negozio era pieno di studenti e notò un paio di facce familiari. Jim aspettò silenziosamente il suo turno e fece l’ordinazione al cameriere. Prese la sua bibita e si sedette a un tavolo laterale. Quando finì la bibita, tornò a casa.

Jim uscì di casa per comprare del materiale da ufficio, Camminò lungo la strada riempita dal sole con due suoi amici, giocando con il pallone da pallacanestro mentre camminava. Jim entrò nella cartoleria, che era piena di gente. Parlò con un conoscente, mentre aspettava il suo turno. Mentre usciva, si fermò a chiacchierare con un compagno di scuola che stava entrando nel negozio in quel momento. Lasciato il negozio, si incamminò verso la scuola. Per strada, incontrò la ragazza che gli era stata presentata la sera prima. Chiacchierarono per un po’ poi Jim si diresse verso scuola.”

Questo brano è stato usato dall’università di Yale per gli studi sulle prime impressioni, il così detto effetto primacy. E allora, che impressione vi ha fatto Jim? E’ un ragazzo timido e introverso o spigliato ed estroverso?

Secondo Yale l’82% di voi risponderà che è timido e introverso. Ma ora provate a resettare completamente (se è possibile) il brano precedente e leggete quest’altra versione:

“Jim uscì di casa per comprare del materiale da ufficio, Camminò lungo la strada riempita dal sole con due suoi amici, giocando con il pallone da pallacanestro mentre camminava. Jim entrò nella cartoleria, che era piena di gente. Parlò con un conoscente, mentre aspettava il suo turno. Mentre usciva, si fermò a chiacchierare con un compagno di scuola che stava entrando nel negozio in quel momento. Lasciato il negozio, si incamminò verso la scuola. Per strada, incontrò la ragazza che gli era stata presentata la sera prima. Chiacchierarono per un po’ poi Jim si diresse verso scuola.

Finite le lezioni, Jim uscì dalla classe da solo. Fuori dalla scuola, iniziò la sua lunga camminata verso casa. La strada era inondata da un sole splendente. Jim camminò sul lato ombroso della strada. Lungo la strada, vide venirgli incontro la ragazza carina che aveva incontrato la sera precedente. Jim attraversò la strada e entrò in un negozio di caramelle. Il negozio era pieno di studenti e notò un paio di facce familiari. Jim aspettò silenziosamente il suo turno e fece l’ordinazione al cameriere. Prese la sua bibita e si sedette a un tavolo laterale. Quando finì la bibita, tornò a casa.”

Come potrete notare si sono solo invertiti i paragrafi, e pure letto in quest’ordine più del 95% delle persone sosterranno che Jim è spigliato ed estroverso. Se non riuscite a resettare il vostro effetto primacy tra una lettura e l’altra, potete provare ad usare i vostri amici e colleghi come cavie, vedrete che le persone a cui presenterete il primo brano Jim sembrerà poco amichevole, mentre le persone a cui presenterete il secondo brano sembrerà più amichevole. Eppure il brano è lo stesso, vi è lo stesso elenco di comportamenti, tra l’altro equamente suddivisi in comportamenti amichevoli e non amichevoli, e allora come mai Jim riesce a lasciare impressioni addirittura opposte nelle persone a seconda del paragrafo con cui si inizia a leggere il racconto descrittivo su Jim?

Il motivo dipende proprio da quali sono le prime azioni di una persona (in questo caso Jim) con cui veniamo a contatto o a conoscenza. Vediamo come questo accada.

Giustificare le prime impressioni

Le persone si costruiscono uno schema preliminare sulle prime caratteristiche salienti che la persona appena conosciuta, o appena incontrata, presenta loro; una volta costruito questo schema tutte le ulteriori caratteristiche che vanno ad integrarsi bene con lo schema iniziale verranno notate ed accettate, andando quindi a confermare maggiormente la prima impressione; invece le caratteristiche dissonanti con lo schema iniziale verranno alcune giustificate in modo che possano essere accettate, ed altre non verranno proprio prese in considerazione. Facciamo degli esempi con Jim.

Coloro che lo giudicano timido potranno pensare che i due amici con cui Jim percorre la strada per andare a scuola sono probabilmente i suoi unici due amici e potranno pensare che vi sia tra loro un rapporto sincero ma freddo; potranno anche pensare che si sia messo a parlare col compagno di scuola perché l’aveva incontrato faccia a faccia e non poteva tirarsi indietro. Potranno anche immaginarselo mentre timidamente chiacchiera con la ragazza che gli piace; al tempo stesso potranno non valutare come dato importante il fatto che si sia messo a chiacchierare con un conoscente nel negozio.

Mentre coloro che hanno valutato Jim come estroverso potranno giustificare i suoi comportamenti introversi con la stanchezza del momento, o con fattori esterni quali il caldo o la fastidiosa luce che probabilmente andava nei suoi occhi quando ha deciso di camminare all’ombra, o potranno ritenere che i volti familiari incontrati nel negozio di caramelle non erano così familiari, e potranno ignorare altri comportamenti quali l’aver cambiato strada proprio mentre stava per incontrare la ragazza che gli piaceva.

Sfruttare la forza delle prime impressioni

Pensate a quante supposizioni è possibile fare per giustificare una propria idea nata da una prima impressione. E’ un po’ come se le persone costruissero teorie sulle altre persone e cercassero continui indizi per verificarle, e ne scartassero altri non utili a tale verifica. Conoscere questi meccanismi può aiutarci ad avere meno pregiudizi sugli altri e a stare più attenti quando sentenziamo sui comportamenti altrui, ma come fare perché gli altri non abbiano pregiudizi su di noi? In realtà non possiamo evitarlo, possiamo solo impegnarci a dare l’impressione che vogliamo alle altre persone con cognizione di causa. Questo è un concetto molto noto ad esempio tra i professori, essi infatti sanno bene che se i primi giorni appariranno severi, anche se poi allenteranno… la briglia, verranno sempre visti dai loro studenti come rigorosi, creando così una sorta di severità educativa con alterne concessioni; mentre i professori che si presenteranno come amichevoli dal primo giorno faranno poi fatica a farsi rispettare nei momenti in cui sarà richiesto e anzi rischieranno di risultare esilaranti quando cercheranno di reagire severamente.

In realtà anche molti studenti conoscono bene l’importanza della prima impressione, capita spesso all’università vedere, soprattutto i primi giorni delle lezioni, studenti talmente impegnati a sembrare attenti da non riuscire a pensare ad altro, neanche a ciò che sta dicendo il professore.

Succede che le persone cerchino di ostentare una prima impressione, poco importa se in questa ostentazione si perda l’essenza: quel che conta è la prima impressione!

Far percepire le proprie competenze

Abbiamo quindi dato un’idea di quanto sia importante la prima impressione, e l’averlo fatto usando come esempio cardine un testo scritto (quello di Jim) dovrebbe far ragionare anche su quanto sia importante la prima impressione non solo nella presentazione della nostra persona, ma anche sul modo che abbiamo di presentare taluni scritti, come ad esempio i curriculum, le lettere di presentazione, nonché le relazioni e i progetti. L’importanza della prima impressione sarà quindi tale anche nelle prestazioni professionali o scolastiche, facciamo ancora un esempio chiamando in causa un altro esperimento, quello sulle competenze percepite, effettuato nel 1968 dal team di ricercatori formato da Jones, Rock, Shaver, Goethal e Ward.

In questo esperimento si chiedeva ad una persona di osservarne un’altra eseguire 30 problemi di matematica, ovviamente l’esperimento era pilotato; in alcuni casi il finto solutore riusciva a risolvere i primi 15 e sbagliava la restante metà, mentre in altri casi veniva invertito il copione, così venivano eseguiti in modo scorretto i primi 15 problemi e in modo corretto i restanti 15.

Alla fine veniva chiesto agli ignari osservatori di ricordare il numero di problemi risolto, coloro che avevano visto risolvere i problemi nella parte iniziale ricordavano mediamente 21 problemi risolti, mentre l’altro gruppo, quelli che avevano visto risolvere i problemi nella seconda metà, ne ricordava mediamente 13. Inoltre la persona che risolveva i problemi veniva valutata mediamente più intelligente da coloro che l’avevano vista risolvere correttamente i problemi all’inizio, rispetto a come veniva valutata da coloro che l’avevano vista risolvere i problemi nella seconda metà. Sono certa che da questo esperimento non solo gli studenti avranno di che trarne suggerimenti.

Primo impatto: somiglianze, stereotipi e pettegolezzi

Ma in realtà la prima impressione non dipenderà esclusivamente dalle nostre prime azioni e dal nostro impegno, vi sono altri fattori che influiscono addirittura già dal primo impatto. Tra questi vi è ad esempio la somiglianza con persone già note, è infatti tipico, a tutti sarà già capitato, di provare simpatia o antipatia a pelle per qualcuno che assomiglia a un amico dell’infanzia.

Ma non solo, gran peso nelle valutazioni sia della persone che delle loro prestazioni e competenze lo hanno i famigerati, ma anche utili, stereotipi. Infatti quando incontriamo qualcuno, o quando leggiamo di qualcuno, la prima cartella che viene attivata nella nostra mente (ancor prima di osservare le azioni, i comportamenti, o i contenuti) è quella delle tipologie a cui appartiene: genere sessuale, nazionalità, età, ceto, cultura e se possibile anche religione, idee politiche e condizione familiare.

Infatti noi tutti tendiamo a ordinare il mondo e le persone che lo abitano in categorie, le quali sono intrise di stereotipi, ovvero convinzioni banali e ingenue sulle persone categorizzate in base ad un aspetto comune. Così avremo le donne, gli uomini, gli italiani, gli arabi, i giovani, gli anziani, i nobili, i calciatori, gli scienziati, i testimoni di Geova, gli atei, i comunisti, i fascisti, i single, i genitori e via dicendo, ognuna di queste categorie non racchiuderà in se la mera descrizione della categoria, ma avrà al suo interno moltissime inferenze sulla stessa.

In realtà gli stereotipi hanno una funzionalità importantissima, essi ci permettono di risparmiare energie mentali le quali possono essere così investite in cose più utili, infatti gli stereotipi fanno sì che ciascun individuo possa prevedere le azioni dell’altro, riducendo quindi lo spreco di energie che altrimenti sarebbe causato da uno scenario sempre nuovo. Ma al di là del loro valore adattivo essi sono comunque un modo approssimativo di giudicare le persone e dove l’incontro vada più in là di un’occhiata fugace per la strada, dovrebbero essere sostituiti con delle nostre valutazioni più ragionate. Ma il rischio è che spesso le persone cerchino di verificare gli stereotipi piuttosto che accantonarli.

Oltretutto attenzione ai pettegolezzi, essi hanno un potere ancora più forte degli stereotipi, in quanto presumo che qualcuno abbia già verificato il nostro modo di essere, il pettegolezzo è ancora più complicato da abbattere, in quanto ogni azione verrà giudicata e sostenuta dal pettegolezzo stesso. Per fortuna se la persona si sta realmente interessando a noi abbiamo la possibilità di cambiare i suoi preconcetti, a quel punto sarà importante ciò che noi daremo attivamente come prima impressione, confermeremo i suoi stereotipi e le sue convinzioni o li stravolgeremo inequivocabilmente?

Pregiudizi che si autoavverano

In pratica quando incontriamo una persona, la prima cosa che facciamo è recuperare informazioni sulle categorie a cui appartiene, nel prosieguo dell’incontro la confrontiamo involontariamente con immagini del passato, poi cerchiamo le verifiche o le smentite a questi nostri preconcetti (cosa che diventerà più complicata se i pregiudizi ci saranno stati suggeriti da qualche pettegolezzo). A questo punto ci siamo fatti una prima impressione abbastanza stabile intrisa delle nostre teorie su quella persona, teorie alle quali ora cercheremo di volta in volta conferme.

Queste teorie che ci costruiamo sulle persone possono però avere effetti pigmalionici, facendo addirittura far diventare la persona così come noi crediamo che sia, infatti il nostro comportamento sarà dettato da talune convinzioni, e ad ogni nostra azione corrisponderà reazione uguale e contraria. Facciamo un esempio: se sono convinto che un nuovo assunto sia un incapace, il modo in cui lo tratterò lo farà veramente diventare pian piano sempre più incapace, infatti è probabile che eviterò di dargli qualsiasi tipo di incarico non permettendogli di fare pratica nel lavoro.

E così noi stessi rischiamo di essere creati dalle convinzioni degli altri, ad esempio se un collega è convinto che voi siate delle persone antipatiche è probabile che si comporterà lui per primo in modo freddo e poco amichevole con voi, inducendo voi stessi a rispondere con antipatia confermando così in lui la convinzione che voi siate antipatico. La soluzione in questi casi è comportarsi in modo inverso a quello che ci si aspetterebbe, se un collega si comporta male con voi, probabilmente è perché ha delle cattive opinioni sulla vostra persona, in questi casi contraccambiare il suo comportamento freddo con un sorriso caloroso potrebbe invertire la sua involontaria manipolazione, e voi potrete modellarvi da soli.

Concludendo

E’ normale avere delle proprie teorie sugli altri e anche aiutarsi con gli stereotipi, ed è normale che non di tutti siamo interessati a sapere come effettivamente stanno le cose; ma con le persone che ci interessano, e negli incontri per noi importanti dovremmo sapere andare al di là dei pregiudizi che possono essere nati da impressioni, ricordi, stereotipi o da pettegolezzi, e dovremmo anche cercare di comprendere fin dove le nostre valutazioni sono influenzate dall’effetto primacy.

Le persone sono molto più complesse di una prima impressione.

Ci sono momenti in cui è importante dare precise comunicazioni sulla nostra persona, momenti in cui conviene comunicare determinate cose, l’importante è avere bene in mente cosa vogliamo comunicare e farlo dal primo impatto e con gran forza.


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