La avventure del giovane Pim

Creato il 06 gennaio 2012 da Pim

(Gressoney St.Jean, 6 gennaio 1984. Dal mio diario, compresa la fotografia)

Ieri sera Marina è riuscita a trascinare in discoteca suo fratello Marco, notoriamente restio a questo genere di baggianate, e pure il sottoscritto. Il pomeriggio precedente aveva conosciuto alcuni ragazzi, tra i quali un certo Paolo che aveva iniziato a farle una spietatissima corte degna del miglior emulo di mister Vinavil (inventore dell’omonima colla per approcci difficoltosi). Da ciò, senza bisogno di molte elucubrazioni, avevo compreso chiaramente da chi fosse partita la proposta. Ho accettato l’invito solo perché ero curioso di vedere come sarebbe finita.

Ad una certa ora ci siamo ritrovati in quel luogo di perdizione così ben descritto dal Sommo Poeta nel canto decimottavo dell’Inferno – con una piccola ma apprezzabile differenza: lui e Virgilio non avevano dovuto pagare il biglietto, in quanto l’uno abbonato alla rete tranviaria di Firenze, l’altro pensionato da quasi un millennio. Avendo detto a mia madre che avrei trascorso una serata a pallate di neve e tuffi nei crepacci del Monte Rosa, mi ero astutamente abbigliato come Ambrogio Fogar al Polo Nord: maglione antigelo provvisto di termoforo regolabile da 6 a 666 gradi Kelvin, pantaloni di velluto a coste con sotto calzamaglia di lana pesante, doposci a pelo lungo di autentico bue tibetano. Appena entrato, sopravvissuto per miracolo allo shock termico, sono rimasto colpito dall’incomprensibile allegria degli unici tre fricchettoni presenti. Per ammazzare il tempo si spulciavano freneticamente le ascelle a suon di musica; per di più, uno di loro aveva infilato la capoccia in una cassa acustica da 200.000 watt, procurandosi probabilmente qualche inconveniente uditivo (ma, ripensandoci bene, forse era solo un po’ timido).

Per tornare a noi, Marina ha preso subito a fare coppia fissa con Paolo. Non ero certo geloso per così poco, figuriamoci... solo leggerissimamente incazzato, ecco tutto. Perciò, nonostante alcuni fastidiosi accenni di convulsione, ho tentato un abbozzo di conversazione con Marco. Ma quando alla domanda << Come va? >> appena disturbata dal tipico tappeto sonoro della disco music, ha risposto con un patetico tentativo di analisi del mondo delle idee platonico, ho rinunciato all’arte maieutica e persino al gioco dei mimi e mi sono chiuso in un rassegnato silenzio.

Alle strette, ho deciso di scatenarmi in pista incurante dei doposci e dell’ignobile abbigliamento, iniziando ad agitarmi come un gorilla attaccato dalle termiti che scuote la mole ciclopica nel cuore della foresta equatoriale. Muovendomi sempre sulla stessa mattonella luminescente, sono peraltro riuscito a provocare un’opera di erosione spettacolare, simile a quella compiuta dall’acqua nelle grotte di Postumia.

Di fronte a me, invasa dai demoni, si contorceva furiosamente Allegra B., una fighetta un po’ porcona con la sensibilità d’uno stolido bove, la quale scuoteva a ritmo la zazzerona bionda riempiendomi sistematicamente bocca e narici di forfora. Al suo fianco, l’imperturbabile Marco stava ora inscenando una riuscitissima danza della pioggia accompagnato dagli amici di Marina, facilmente confondibili con certi stregoni ruspanti del South Dakota. Marina era intanto sparita dalla circolazione: mi aveva concesso giusto il tempo di una brevissima conversazione nella quale, come sempre, ci eravamo brillantemente presi per i fondelli. << Non capisci niente! >>, mi aveva apostrofato con aria innocentina. << Capisco fin troppo, invece >>, avevo ribattuto io additando Paolo, che continuava a gravitarle intorno in maniera sospetta (che conoscesse Newton?).

Ad un certo momento della serata, però, ho detto basta. Con un abbozzo di scusa – o meglio, una sparata madornale che tirava in ballo mia nonna e un panettone colonizzato dagli alieni – ho salutato Marina, ricomparsa nel frattempo con il viso in fiamme, sventolandole la sciarpa rossa marca Banda Bassotti che mi aveva regalato per Natale. Marco, invece, l'ho dribblato velocemente in quanto, forse un po’ frastornato dalla cocacola (poverino, la regge poco), stava già per illustrarmi le tre leggi di Keplero.

A parte le difficoltà nel districarmi dall’infernale meccanismo a battente della porta di sicurezza (castrazione evitata al pelo!), l’uscir a riveder le stelle mi ha fatto un gran bene. Anche all’orecchio sinistro, inguaiato da un immediato principio di congelamento che si andava ad aggiungere alla sordità più completa. << Che bello! >>, ho esclamato senza pudore alcuno, mentre sotto calzamaglia e maglione il sudore ghiacciava al vento boreale della notte formando curiose stalattiti…


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