La Babele europea

Creato il 26 febbraio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

L’attuale Comunità Europea è accomunabile all’immagine biblica della Torre di Babele. Il richiamo al testo sacro non è affatto fuori luogo ed è facilmente intuibile per un chiaro sillogismo.

Nella Bibbia la Torre viene costruita da una popolazione che condivide l’unica struttura sociale e l’unica lingua presente sulla Terra, ed in sé la struttura architettonica ha la finalità di esaltare la grandezza dell’uomo stesso ergendosi sino al cielo. L’epilogo però è ben noto: Dio punisce l’operato umano mischiando le lingue e rendendo impossibile la comprensione tra simili. Ecco la nascita della diversità linguistica, culturale ed etnica dell’umanità.

La Comunità Europea nasce dalla volontà di allineamento economico, politico e in fine culturale delle Nazioni aderenti. L’Unione ha seguito un iter con tappe ben precise che iniziano nel 1957 e proseguono sino ad oggi. O forse sarebbe meglio dire sino a ieri. Sì, perché il presente e l’immediato futuro sembrano riportare alla mente la poc’anzi citata narrazione biblica: la diversità è diventata eclatante a causa della stessa motivazione primaria che ha dato il via all’intero progetto e cioè l’economia. La crisi finanziaria degli ultimi anni ha messo in grave difficoltà il modello economico occidentale fondato sull’esternalizzazione del sistema produttivo dal contesto locale (globalizzazione) e sulla spasmodica ricerca del profitto mediante lo sfruttamento di un sistema finanziario sempre più distante dall’economia reale. Tutto ciò ha dapprima evidenziato la fine dell’egemonia economica statunitense portando il sistema globale ad un più reale bipolarismo (che non si aveva dalla fine della Guerra Fredda nel 1989) con due attori molto diversi: uno in discesa (gli Stati Uniti) ed uno in forte ascesa – è il caso della Cina e della sua economia chiusa a garanzia di un accumulazione di capitale senza eguali. A seguire, mentre la crisi del modello occidentale inizia logicamente ad avere effetti via via crescenti nel Vecchio Continente, sullo scacchiere globale si è palesato un multipolarismo in grado di evidenziare la presenza di alternative valide al modello occidentale. E’ il momento del BRICS, termine coniato per identificare le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Ognuna di queste Nazioni o più nel complesso aree geografiche* si erge quale nuovo attore imprescindibile all’interno di un dialogo internazionale. L’ultima tappa è cronaca di oggi e ci coinvolge – in quanto cittadini europei – in prima persona. Ogni giorno di più la Comunità Europea palesa crepe preoccupanti nel suo modello apparentemente così ben strutturato. L’unità resta oggi un concetto astratto e sul quale molti sembrano incerti in proiezione futura.

L’Italia negli ultimi mesi ha visto l’insediamento di un Governo tecnico e con esso l’introduzione di politiche volte a risanare il debito pubblico pericolosamente oltre i valori “europei” consentiti. Paradossale è stato, da parte dei politici, il richiamo all’imprescindibile necessità di dare risposte rassicuranti all’Europa ed ai mercati. Il paradosso sta nel fatto che fondamentalmente un politico è tale per rappresentare a livello istituzionale la popolazione – la massa per intenderci – e quindi le prime risposte vanno date a lei e non a terzi. Questa discordanza comporta un’instabilità sociale non indifferente dato che la massa si dimostra restia ad accettare ulteriori sacrifici in aggiunta a quelli derivanti dal dissesto economico internazionale.

L’esempio più eclatante del contrasto tra interessi della Comunità Europea ed interessi dei popoli nazionali ci è dato dalla Grecia. Qui i forti scontri sono all’ordine del giorno ed il rischio di default non è propriamente pura teoria. Le risposte ai creditori stranieri sono arrivate non propriamente in linea con le loro richieste – ulteriore riduzione del valore nominale dei titoli in loro possesso – e la fase di non economia ha finito per sfinire la popolazione greca. Allo stato attuale la sopravvivenza della Grecia europea sembra dipendere dalla messa in atto del piano di salvataggio sviluppato dall’Unione Europea in collaborazione con il FMI e la BM – resta da capire l’impatto sull’economia reale greca delle condizioni previste dai due organismi internazionali. La titubanza europea nel vagliare l’intervento economico ha spinto il Governo greco a prendere sempre più in considerazione una seconda strada per il risanamento della propria economia: l’opportunità proveniente da capitali extraeuropei – provenienti da Russia e/o Cina. L’alternativa, ovviamente, traghetterebbe la Grecia fuori dall’Europa verso quelle che oggi appaiono economie più forti.

Il ritardo dell’aiuto europeo alle finanze greche deriva principalmente dal timore della Germania di farsi trascinare in una crisi economica che attualmente sembra coinvolgerla marginalmente. A differenza di altri primi ministri europei la Merkel dà molta importanza al soddisfacimento della popolazione tedesca – ovvio e giusto comportamento politico che legittima la carica istituzionale ricoperta.

Dall’altro lato, la seconda “potenza” europea – la Francia – è alle prese con l’inizio della campagna elettorale per la corsa all’Eliseo ed il suo exploit internazionale lo ha già fatto con il frettoloso intervento militare in Libia. Sostenere la Grecia sarebbe un’ottima occasione per acquisire il ruolo tanto ambito di leader europea, ma lo stato attuale delle finanze francesi non permette un tale azzardo – ne va anche della prossima candidatura di Sarkozy.

L’Inghilterra è lontana dai suoi splendidi anni di primo alleato degli U.S.A. ed oggi appare un po’ più sola. Gli Stati Uniti sono indaffarati a recuperare terreno nei confronti della Cina – primo e più temuto avversario economico. Il mantenimento di posizioni strategico-militari in tutto il globo sfiancano l’economia statunitense che tuttavia, per la propria sopravvivenza, non può considerare alcun passo indietro. Ritirare una sola truppa vorrebbe dire cedere il territorio ad altri e dimostrare vulnerabilità. Dal canto suo l’Inghilterra, pur partecipando al progetto europeo, si è sempre garantita un’amplia autonomia economica e politica che le permettono di rispondere in modo indipendente alla crisi economica occidentale. Ma la Corona sembra aver perso il suo fascino e il suo Commonwealth potrebbe sgretolarsi o perlomeno perdere i principali partecipanti. Infatti se i propositi giamaicani di indipendenza costituzionale dovessero concretizzarsi, non si potrà escludere l’eventualità di un effetto domino che veda protagonisti in primis Canada e Australia. Nulla di economicamente rilevante, ma lo sgretolamento del Commonwealth avrebbe ripercussioni estetiche importanti per la Corona. Più rilevante dal punto di vista geoeconomico risulta la volontà scozzese di indire un referendum per la propria indipendenza nel 2014: in termini di risorse vorrebbe dire rinunciare al petrolio del Mare del Nord e a basi militari importanti. Comunque è tutto da dire in merito e forse alla fine nulla verrà detto, per la serenità di Cameron e reali.

Spagna e Portogallo sembrano i protagonisti ideali per il remake del film economico-politico visto negli ultimi due anni in Italia e Grecia. Lisbona si ritrova con un PIL in continua contrazione (riduzione dell’1,3% nel quarto trimestre) così come la Spagna dove la recessione sembra imminente (contrazione del -0,3% del PIL).

Resta il fatto che l’Europa è ben lontana dai suoi presupposti di allineamento economico e politico e di certo non traspare nulla di confortante dalle nubi all’orizzonte. Si palesa la necessità di una ridefinizione degli accordi intraeuropei. È chiaro sin qui che il modello ha perso la sua coesione nel momento in cui si sono manifestate forti discrepanze economiche.

E tutto ciò cosa delinea sul piano internazionale? Ridimensionamento. Quanto affermato è evidente nel vicino Medio Oriente dove la partita geopolitica in atto nel territorio siriano ed iraniano vede in netto vantaggio Cina e Russia – anche rispetto agli Stati Uniti. Si può dire che l’ultimo sussulto del potere occidentale – U.S.A. ed Europa – lo si è avuto con l’intervento in Libia: sforzo militare che ha ignorato i dissensi provenienti dal BRICS. Oggi è tutto diverso e proprio i colossi dell’Est impongono il loro veto nell’area facendo di fatto provare una sensazione di preoccupante solitudine ad Israele – fortino filo-occidentale in terra islamica.


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