Una parabola legata a doppio filo con la Natura, che guarda all'Uomo come ad un curioso e contradditorio animale sociale ed analizza, dalle mura del focolare domestico alle leggi di paese, tutte le dinamiche di un piccolo, grande mondo.
Devo ammettere che, nonostante non conosca ancora a fondo la filmografia di Imamura, il regista nipponico ha sempre avuto il potere di stupirmi con ogni suo lavoro passato sugli schermi di casa Ford: ricordo la prima volta in cui incrociai il suo cammino, con il corto realizzato per la raccolta dedicata all'unidici settembre.
Alla prima visione rimasi sconcertato dalla follia che il regista pareva aver catapultato senza troppi patemi in quella manciata di minuti: eppure, con il passare del tempo, il suo messaggio è come sedimentato ed è riemerso cambiando pelle - dato che, nello specifico, il serpente era una figura centrale della simbologia utilizzata - divenendo ad oggi uno dei miei preferiti in quella raccolta.
Archiviata quell'esperienza, con le giuste tempistiche - non parliamo di un cineasta le cui pellicole passano come se niente fosse su uno schermo, per intenderci - cominciai a recuperare il resto dei suoi lavori, prendendomi il tempo e la freschezza mentale necessari ogni volta per intraprendere un viaggio all'interno del suo personalissimo universo.
Di La ballata di Narayama avevo già sentito parlare in più occasioni - in fondo è stata una delle più discusse palme d'oro degli anni ottanta -, e il dvd mi aspettava al varco da parecchi mesi, così, approfittando di qualche giorno di riposo in più, ho potuto trovare il respiro giusto per affrontarlo: devo ammettere che, rispetto alle aspettative che mi ero fatto, la materia e lo stile di Imamura sono molto più semplici di quanto non potessi pensare, i simbolismi - sempre presenti - molto chiari e di stampo che ora chiameremmo malickiano e la narrazione, seppur lenta, legata all'immaginario del Giappone rurale dei tempi andati che ho imparato ad apprezzare in pellicole indimenticabili come Onibaba o I sette samurai.
Le vicende dei contadini, dai biechi approfittatori ai grandi lavoratori, dall'amore alla morte, dalle risate al dramma profondo, mantengono una sobrietà sorprendente per lo stile spesso estremo del regista, che si libera soltanto nella parte finale, con la scalata della montagna da parte di Tatsuhei e della sua vecchia madre, in un crescendo che ricorda l'Herzog migliore e che, senza dubbio, rappresenta l'apice di una pellicola giocata fino a quel momento sul basso profilo tenuto dal suo autore.
La galleria dei personaggi - come sempre per le opere corali di questo tipo - è memorabile, per quanto limitante per lo spettatore occidentale, specie se non avvezzo all'ironia o all'approccio tutto giapponese rispetto alla vita, contestualizzata inoltre in un passato ancora più distante dagli usi e costumi che siamo stati abituati a conoscere dalle nostre parti.
Una pellicola, dunque, certo non per ogni palato, sicuramente in grado di risultare ostica o eccessivamente autoriale, eppure, vista da un'altra prospettiva, estremamente semplice e popolare, incentrata sui concetti di famiglia, società e ruolo degli anziani nella stessa.
Splendido, in questo senso, il monologo di Tatsuhei che, nel corso della scalata, racconta alla madre di come, a trent'anni da quel momento, sarà suo figlio a portarlo in spalla in cima al Narayama, e così ancora trent'anni dopo farà suo nipote con lui.
Un circolo di vite che non si esaurisce, e continua ad essere perpetrato anche dopo il ritorno al villaggio dello stesso Tatsuhei, testimone di nuove e future nascite.
Una lezione di semplicità per un film che, una volta scoperto, non si lesinerà certo dallo stupirci.
MrFord
"Am i cracking up
or just getting older?
you're not cracking up
you're just getting older
we're not cracking up
we're just getting older."
Oasis - "Getting older" -