L’ultimo lavoro di Paolo Berizzi – “La bamba” edito da Dalai Editore - è in libreria dal 13 novembre scorso. La Redazione di i-libri.com ha incontrato l’autore in occasione di Bookcity Milano, nella splendida cornice della Sala del Grechetto a Palazzo Sormani.
“La bamba” nasce da un’inchiesta complessa e rischiosa condotta nel 2009 dal giornalista e scrittore Berizzi –lungo una delle rotte del narcotraffico che, dalla foresta amazzonica colombiana, porta la cocaina nelle nostre città ed in particolare nella Milano dell’happy hour e della “bamba”, come la chiamano da queste parti.
Un viaggio dentro il cuore di un problema che da anni presenta ormai i tratti di un allarme sociale, quello di una metropoli che “coi suoi 125mila consumatori occasionali e 25mila abituali, con le sue 10mila dosi quotidiane che diventano 15mila nel fine settimana”, come ci spiega molto bene l’autore, è oggi la capitale in Italia dello spaccio e del consumo di cocaina, guadagnandosi così, a ragione, l’appellativo di Coca City.
L’inchiesta di Berizzi e del fotoreporter Antonello Zappadu – dei cui scatti il libro è corredato – parte dalla foresta di Putumayo in Colombia (il maggior produttore al mondo di cocaina), dove i campesinos coltivano illegalmente le foglie di coca e da cui, attraverso un’accurata lavorazione, estraggono la cosiddetta base che, raffinata poi dai chimici del narcotraffico, produrrà il cloridrato di cocaina.
Il viaggio prosegue attraverso il confine “fantasma” (o “barzelletta” come spiega l’autore) con l’Ecuador dove, dentro insospettabili bombole per il gas, la coca lascia la Colombia e raggiunge il mare: qui la polvere bianca divisa in pani da 2 chili - avvolti in cellofan di colori diversi a seconda del mercato di destinazione – prende il largo a bordo di sommergibili e motolance. La traversata dell’Atlantico, lungo la rotta che passa dalle Isole Canarie, lo Stretto di Gibilterra e il canale di Sardegna fino ad Alghero, si compie con barche a vela, quelle dei velisti trasformati per l’occasioni in skipper della cocaina.
Dalla Sardegna a Milano, poi, il passo è breve.
Tra le tappe di questo viaggio della bamba ci sono i morti ammazzati del narcotraffico, la violenza dei cartelli sudamericani e gli interessi della malavita organizzata nostrana che, dal traffico di cocaina, trae i suoi maggiori proventi.
Ci sono però anche le esistenze di popolazioni e singoli individui che, per ragioni diverse, la cocaina ha trasformato in veri e propri schiavi.
Una famiglia di campesinos cocaleros raccoglie solo le briciole di un business che arricchisce le banche e i gruppi criminali di Usa ed Europa: “Chiediamo al cocalero quanta pasta di coca riesce a produrre in un anno. - Otto chili e mezzo, se tutto va bene -. Il frutto del raccolto gli rende 15 milioni di pesos, che sarebbero 6500 euro. 553 euro al mese, 17 euro al giorno. Con 17 euro al giorno devono campare nove persone, e lavorano tutto il giorno, ognuna con un compito diverso. Alla fine la produzione della cocaina rende 1,9 euro a persona”.
I campesinos lo sanno di non avere alternativa, almeno fino a quando il governo non alzerà il prezzo dei prodotti agricoli: “Per me coltivare coca o banane sarebbe la stessa cosa; il problema è che se vendo banane faccio la fame […] Con le banane o il cacao non arrivo nemmeno a 5 milioni di pesos l’anno (2000 euro). Con la coca ne faccio anche 20 di milioni (8700 euro) ”.
Una volta in Italia un chilo di coca rende settantacinque volte tanto.
Ed è in Italia, qui dove la coca si vende, che troviamo i nuovi schiavi, quelli del consumo e delle “notti imbiancate”. Le cifre sono allarmanti ed il problema di una città come Milano dove l’accesso al grammo di coca è facile almeno quanto diventare pusher, non è più solo di chi ne fa uso, ma dell’intera comunità. Il consumo è democratico, raggiunge chiunque, entra negli uffici pubblici, nelle aziende, negli ospedali. Categorie di lavoratori insospettabili sono “macchine fatte di carne che vanno a cocaina. Si dopano per aumentare le prestazioni, per vincere lo stress e reggere i ritmi. Magari in pausa. In studio. In cantiere. Negli spogliatori del deposito dei tram e nei bagni del tribunale. In ospedale prima di entrare in sala operatoria. Nella cucina del ristorante. Sulla cabina del camion. Prima di mettersi alla cloche dell’aereo. In Parlamento […]. Sniffano per lavorare e lavorano per sniffare. A Milano più che altrove. […] Sono i nuovi schiavi della polvere bianca, qui intesa come stimolante, come abbattitore della fatica”.
L’inchiesta di Berizzi è il risultato di anni di lavoro e impegno sul campo. L’autore – inviato de La Repubblica e già autore di altri libri inchiesta come “Bande Nere” (2009) e “Morte a 3 euro” (2008) – torna con un reportage ben fatto, a tratti spietato come la realtà che descrive, ma onesto nella ricerca della verità dei fatti che vengono riportati con cura e coraggio.
Da leggere.