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“La bambina, il cuore e la casa” di María Teresa Andruetto, Mondadori

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

bambinacuorecopMaría Teresa Andruetto è un’autrice argentina di libri per adulti e per ragazzi che lo scorso anno è stata insignita del premio Hans Christian Andersen, il maggior riconoscimento internazionale nell’ambito della letteratura per l’infanzia, prestigioso e considerato una sorta di Nobel del settore.

La Mondadori ha pubblicato, piuttosto recentemente, nella sua bella collana di narrativa Contemporanea, uno dei romanzi della scrittrice: “La bambina, il cuore e la casa”, in una sobria ed elegante edizione dall’intensa copertina illustrata da Fabian Negrin.

Una storia toccante, raccontata con una partecipazione misurata e discreta che mette in luce i personaggi e lascia che le vicende scorrano come istantanee, impressive ma equilibrate, sotto gli occhi del lettore.
Uno stile pacato e lieve, ma indubbiamente sapiente, che sa come dosare tensione ed emozione.
Allo stesso tempo sensibile, discreto, docile nel lasciarsi seguire anche nei passaggi più dolenti e intensi con naturalezza e spontaneità.

In un fluire temporale vivo e presente, le vicende più che raccontate paiono accadere e, pur senza l’uso della prima persona, fatti ed emozioni vengono lasciati correre sulla pelle e nell’animo della piccola protagonista, rispondendo al suo sentire e ai suoi sentimenti.

Tina ha cinque anni e la sua famiglia vive divisa seguendo esigenze e bisogni degli adulti che, come la bambina, anche i lettori possono solo immaginare ma che non vengono mai chiariti nello svolgimento del romanzo.
La piccola abita col padre e la nonna in un’abitazione bassa, moderna, con un piccolo cortile. In un’altra casa – grande, antica, con un giardino verde e spazioso – in un’altra città, vivono la madre e il fratello Pedro.
Ma non è una separazione dei genitori, come verrebbe facile immaginare, a dettare un simile ménage.
Bensì la malattia di Pedro – che malattia non è, come viene specificato, bensì “un modo di nascere” – la sindrome di Down.
Per l’impegno richiesto dalla gestione – o forse per una difficoltà paterna a prendersi in carico la quotidianità – il bambino è l’unico figlio affidato alla madre, che si dedica quindi a lui ventiquattr’ore su ventiquattro, facendo della cura la sua unica missione.

La famiglia poi si riunisce la domenica, nella grande casa dove la bambina e il papà si recano puntualmente in visita, con dolci e prelibatezze da cucinare e mangiare tutti insieme; mentre i piccoli giocano, gli adulti conversano, come costituissero un nucleo consueto, che si rilassa e diverte nel giorno di riposo.
Per il resto dei giorni Tina consuma una vita dall’apparenza ordinaria: scuola, giochi, amica del cuore – la bimba coetanea vicina di casa della nonna.
Ma è assillata da un cruccio continuo: perché non possono stare tutti insieme? E da una nostalgia perenne, che non le lascia tregua, per la presenza materna, così agognata da divenire il desiderio prevalente, l’unico quasi delle sue giornate.

Se dapprincipio la piccola pare rassegnata, sembra quasi accettare le scelte dei familiari come indiscutibili (“non si può”, “è così”, “non può essere altrimenti”…rispondono di continuo padre e madre ai suoi leciti dubbi e quesiti, in una modalità che molti adulti adottano quando hanno difficoltà a spiegare in profondità le loro decisioni ai bambini), via via la sua, dapprima ingenua e cedevole, consapevolezza infantile pare crescere, e acquisire forza e determinazione, grazie anche al confronto con l’amica, e la di lei famiglia, e ad un aggravarsi improvviso delle condizioni fisiche del fratello.
Man mano che Tina matura la sua volontà, e il suo amore e la sua accettazione per Pedro, la realtà sembra perdere la sua fissità e irrevocabilità per accedere ad altre strade possibili, a nuove situazioni percorribili che non mettano più al centro le necessità genitoriali ma, finalmente, i sentimenti e l’affettività dei piccoli.
Fino al trasferimento tanto bramato e così troppo a lungo negato: quello nella vecchia e affascinante casa, consegnata finalmente alle cure e all’amorevolezza della mamma – anche lei troppo triste e spenta -e alla compagnia del fratello.

Un romanzo poco convenzionale, che incanta e affascina con la delicatezza della sua conduzione e, insieme, apre spazi di domande e riflessioni.
Senza entrare nel merito ma solo accarezzandolo con sensibilità, spalanca le enormi porte dei drammi familiari e del dolore e la difficoltà di tenere insieme nuclei provati dalla malattia, o l’handicap, di un componente.
Sospendendo il giudizio o ogni forma di condanna, l’autrice si schiera con rispetto e attenzione dalla parte dei piccoli, mettendo in luce il loro universo emotivo e la complessità, e ricchezza, dei loro sentimenti che meritano, al pari di quelli adulti, sincerità e considerazione.
I bambini, inoltre, si mostrano sovente più in grado, rispetto ai grandi, di superare barriere e discriminazione, accedono con più naturalezza ai terreni dell’accettazione e, nel loro lucido candore e la loro spontanea saggezza, riescono a trovare soluzioni per problemi complessi che, pur senza essere semplici, per lo meno risultano coraggiose e creative.

(età consigliata: dai 10 anni)

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