Non tutti i cult sono bei film e non tutti i bei film possono diventare cult. Questo non è un mio pensiero ma un dato di fatto. Eppure non è semplice essere oggettivi di fronte i film della propria infanzia o che hanno segnato una o due generazioni: quei film si amano a prescindere, siano belli o brutti, sotto o sopravvalutati. Uno di quei film, per me, è sicuramente La Bambola Assassina.
1988: Don Mancini idea e scrive quello che sarà poi uno dei più famosi horror anni '80, dando vita a quella che sicuramente rimane un'icona, uno dei villain più importanti e conosciuti nella storia del cinema dell'orrore. Perché Chucky non è solo un bambolotto malvagio posseduto dall'anima di un serial killer, ma è un baby mostro politicamente scorretto, grottesco, ironico e sarcastico, un concentrato di cattiveria che non può però, in certi momenti, non strappare un sorriso e persino una sonora risata. Il primo capitolo di questo importante e redditizio franchising, diretto da Tom Holland, non voleva puntare tutto (come hanno fatto i successivi) sull'ironia, né voleva dare alla saga un'impronta horror-comedy: lo scopo di La Bambola Assassina era e resta quello di terrorizzare sfruttando uno dei topoi per eccellenza: quello della bambola maledetta.
La storia è quella di Charles Lee Ray, lo strangolatore del lago, un serial killer che, prima di morire in uno scontro a fuoco con la polizia, riesce ad incarnarsi in una bambola Tipo Bello, pupazzo molto in voga tra i bambini americani. Quello stesso pupazzo finirà poi tra le mani di Andy, bambino di 6 anni orfano di padre. Ma Charles, detto Chucky, nonostante le nuove sembianze non sembra voler smettere di uccidere, soprattutto ora che ha una nuova missione: vendicarsi.
Il successo de La Bambola Assassina sta nell'aver inserito in un contesto cupo e drammatico un personaggio sopra le righe come Chucky, creando una sorta di attrito tra ambientazioni/situazioni e la verve del bambolotto malvagio. Un contrasto che a quanto pare terrorizzò i ragazzini alle prime armi con l'horror e divertì gli spettatori più navigati, grazie anche ad una trama originale che solo adesso, dopo quasi trent'anni, mostra inesorabilmente il fianco. Ma il film scritto da Mancini non solo non vuole essere visto come una commedia, non solo vuole spaventare (vorrebbe, gli effetti sono quelli che sono) con meccanismi che sì, ormai reputiamo superati, ma cerca di creare un'atmosfera opprimente e melanconica, ponendo un bambino al centro di fatti fin troppo grandi per lui e facendo in modo che questi siano talmente incredibili da non poter essere accettati neanche se a raccontarli è un adulto. Una sorta di mito di Cassandra riletto in chiave più spicciola, terra terra, ma dall'indubbio fascino.
La verità è che a me le bambole fanno paura. Non so, forse è stato proprio Chucky a condizionarmi (un po' come IT ha scatenato in me la paura per i clown), ma a me bambole e bambolotti mettono una paura fottuta. E se non è paura, allora si tratta di suggestione. Detto questo, il successo del bambolotto Chucky sta proprio, secondo me, nella sua fisionomia: la bambola assassina non solo è una macchina di morte ma ha fattezze e lineamenti inquietanti che divengono ancora più inquietanti se li compariamo a quelli del bambino co-protagonista del film: Andy si veste come lui, è alto quasi quanto lui, indossa le sue stesse scarpe e quasi quasi lo umanizza al tal punto da confondersi con il suo giocattolo, trasformando un rapporto simbiotico in un vero e proprio transfert. L'umanizzazione di una bambola (che nel corso del film, appunto, si trasforma lentamente da pezzo di plastica a pezzo di carne) con quelle fattezze non può non colpire prepotentemente l'immaginazione di un giovane spettatore degli anni '80/'90, e forse proprio in questo stava la forza di un film che col tempo, invece, non ha spaventato più nessuno e ha mostrato tutte le proprie debolezze. Perché alla fine La Bambola Assassina è un film accettabile che si lasciava guardare e che oggi va sicuramente ridimensionato. Ma è e resta un cult assoluto dalla vitalità prorompente e questo, al di là di tutto, va sicuramente a suo vantaggio.