Quando sei sul finire dell'adolescenza, accade che se sei adatto alla vita, il banco degli imputati in cui ti sentivi costretto non è più il tuo posto, se non lo sei invece, sarà facile che chiunque ti faccia tornare alla sbarra col senso del dovere, con quello di colpa, con le buone maniere o con la violenza, ma anche con l'amore o il bisogno di essere riconosciuto.
In quella scomoda posizione circa chi siamo e cosa siamo, è facile lasciare che le paure delle nostre famiglie o le loro avversioni circa ciò che sembriamo diventare, decidano le nostre sorti assegnandoci ad un genere che, pur travalicando la loro possibilità di giudizio, non si risparmiano di comminarci ugualmente: buono o cattivo, uguale o diverso.
Famiglie deboli o ferree che siano, tutte pronunciano il loro verdetto chiuse nelle camere dei loro cuori impauriti e sia che si consegnino a te per timore o che ti perseguano per cambiarti, difficilmente si aspettano di venir giudicate per questo a loro volta. Raramente accetteranno la tua sentenza quando immancabilmente arriverà.
Che sciocchezza pensare di generarci o di crescerci per poi dichiararci "diversi da loro", come se da loro non venissimo comunque, come se non fosse accaduto anche a loro di portare una differenza, ma certo alcune differenze fanno più rumore di altre, mia nonna ad esempio, non supero' mai la delusione per il pessimo gusto della sua figlia maggiore nel vestire o per il matrimonio della figlia minore con un uomo gretto è molto più grande di lei. Per tutta la sua vita guardo' alle sue figlie come in uno specchio opaco, incapace di ritrovare la propria immagine in loro e per questo giudico' lo specchio rovinato, inutile e deludente. Le sue figlie ne soffrirono è così generarono a loro volta qualcuno in cui rispecchiarsi o ne crebbero uno di altri con lo stesso scopo: generando solo la stessa insoddisfazione.
Anche loro come molti, dovevano aver creduto che Dio ci avesse fatto a sua immagine e somiglianza per cui generando, si aspettavano di essere Dio ma non furono brave come lui a gestirsi la delusione. Nessuno lo è del resto. In quanto a me se avessi avuto scelta, avrei scelto come ogni essere umano per convenienza ma in merito alla propria unicità, una volta svelata, non sempre è possibile che convenienza e verità siano allineate.
La mia verità si svelo' in una camera di albergo, dalle fessure di una persiana, entro' una mattina sotto forma di luce e mi rivelo' a immagine di chi ero fatto.
Ero entrato come ogni giovane, ed io più di altri, solo parzialmente incosciente del pericolo ma da questi anche sedotto e assetato di risposte. Il corpo nel letto, inondato della luce fredda dei mattini invernali si era mosso come ferito e scostando le coperte mi invitò a ripararmi io stesso. Sarebbe bello, poter dire che non sapevo cosa volesse dire quell'invito, che in esso non sentissi il balzo del gabbiano dal suo nido sulla scogliera, ma nemmeno se giovane, il cuore e' tanto ingenuo quando scoppia nel petto, perciò accolsi il vuoto che proponeva staccando i piedi dal pavimento, e mi lasciai trasportare.
Le cose terribili che mi erano state insegnate sul "peccato" tra uomini si chiamavano carezze? Era questa la lusinga del Diavolo che dovevo rifuggire? Se un giorno avessi accarezzato una donna che non amavo, come lui faceva con me, sarei stato meno Diavolo con la sua anima?
Nessuna vergogna mi colse, nessuna sopraffazione mi impedì di muovermi, perciò pensai che il calore di quel corpo non fosse dovuto alle coperte ma ad un cuore pulsante e ne fui certo quando quei battiti si unirono in un unico torace. Non accadeva nel suo corpo nulla che il mio non replicasse spontaneamente, niente che non mi somigliasse come se fosse fatto di me stesso e niente che, non fosse perfetto così com'era. Il mio volo fu breve, certo un po' sconnesso ma non volai arpionato dagli artigli di un rapace, come mi avevano fatto credere, semplicemente seguii il ritmo che sentivo e fu facile, emozionante e davvero liberatorio.
Se pensate che si tratti di sesso, non avete abbastanza fantasia, come non ce l'hanno gli adulti quando pensano alla prima volta dei loro figli, o forse non avete mai volato davvero. Il sesso, quello lo scoprii molto dopo e fu di gran lunga meno significativo seppur giustamente necessario, di quel momento magico in cui qualcuno, pur potendo prendermi tutto non lo fece , anzi prese solo ciò che seppi offrire prima di iniziare a piangere a dirotto sul suo petto fatto a mia immagine e somiglianza: i miei primi baci.
Lasciai quella stanza con la promessa di tornare il mattino seguente, ma non sapevo nemmeno se sarei vissuto abbastanza per farlo con tutta quella meraviglia dentro. Non so cosa provi un gabbiano al suo primo volo ma di certo il suo nido deve sembrargli alquanto misero una volta capace di lasciarlo. Tutti i pensieri luminosi si mischiarono comunque con ciò che sapevo sarebbe potuto accadere in casa, se me ne fossi uscito con la verità ma certo mentire, non era la mia strada.
Il 52 mi guardava silenzioso mentre salivo le scale che portavano al suo portone, nel piazzale non c'era nessuno ed un vicino mi salutò come si salutano gli adulti con un buongiorno invece del solito ciao, mi chiesi se il mio cambiamento fosse già così evidente e provai un brivido di paura al pensiero della porta di casa che si apriva. Forse anche Alessandro o Giuseppe avevano dato il loro primo bacio alla creatura perfetta per loro, ma di certo sebbene potessero, credo che neanche loro lo avrebbero detto, perché non è nella natura fisica della persona che ce lo suscita il problema quanto nello shock che quella capacità di "volare" genera nei propri genitori: la consapevolezza che li lasceremo prima di farlo fisicamente, che in qualche modo non gli apparteniamo più totalmente, che abbiamo scoperto a chi apparteniamo davvero: unicamente a noi stessi.
Il gabbiano adulto non torna a contemplare il vuoto del proprio nido ma non tutte le creature hanno questo nobile istinto. Per un po' gli esseri umani quel nido vuoto lo contemplano eccome e purtroppo anche se parlano di ciò che è "secondo natura" ai propri figli, in cuor loro detestano la natura quando fa il suo corso. Di certo i miei avrebbero detestato anche me, se gli avessi spiegato cosa la natura mi aveva spiegato e invocando Dio o la natura stessa, non si sarebbero esentati dal mettermi alla sbarra come imputato, colpevole di non aver riflesso la loro immagine ma di essermi permesso di vedere la mia soltanto, così come io a mia volta li avrei giudicati per ogni singola azione con la quale tentarono di impedirmi la piena consapevolezza di me e dell'amore su ogni cosa.
C'è una "prima volta" per tutto dicono. Ci fu per me come per chiunque e grazie alla banda del 52, ebbi più prime volte di quante non ne possa ricordare. La scoperta di me stesso e della mia unicità nel mondo mi fu facilitata grandemente dai piccoli membri di quella banda, dal grande gioco con cui scoprivamo cosa eravamo capaci di essere, sopportare, custodire e provare l'un l'altro. Tutto ciò di cui avevo fatto esperienza su quel piazzale, il viaggio nella buia intercapedine, la pineta e la nostra casa nell'orto, ogni persona incontrata o temuta mi aveva insegnato quanti colori avesse la vita.
Mentre la famiglia mi "indirizzava" o si sforzava di "correggermi", la vita invece, si mostrava lasciando a me la scelta, nella sua infinita varietà di forme e modi, di come viverla con gioia coraggio e intensità ma anche mostrandomi come gli esseri umani reagivano a coloro i quali "portano differenza": con paura e controllo e laddove questi non funzionassero, con l'emarginazione più violenta.
Non avevo intenzione di rimanere chiuso in casa come Fabio con sua madre ne di essere compatito come Maurizio o aggiustato come il braccio di Alex. Peggio ancora con volevo ritrovarmi penzoloni da un albero in Pineta come Elena la cui differenza nel mondo non potemmo mai celebrare.
La mattina seguente dovetti decidere se ritornare da Salvatore o no. Uscii il mattino come uno che non torna, mi voltai verso i balconi del 52 sperando di vedere il sorriso di Giuseppe ancora una volta o di sentire Alessandro sfuggire alle urla di sua madre ma anche loro probabilmente erano in "viaggio" verso il proprio destino. Al banco dell'albergo chiesi della sua camera con lo stesso tuffo al cuore del giorno prima ma stavolta deciso a conoscerlo fino in fondo.
" mi spiace, ha lasciato la stanza stamattina con le prime luci dell'alba" disse il portiere con un sorrisetto di scherno, nessun recapito che fosse lecito ottenere ne io capace di chiedere. Me ne restai col nulla in mano e lo sguardo fisso seduto sul pilone che impediva alle automobili di percorrere il vicolo, a guardare l'insegna dell'albergo: hotel Stella. Maledicevo il pianto che gli avevo propinato, forse per quello se ne era andato?
Mi ci volle una notte per decidermi ad esser uomo, si uomo con un uomo. Avevo pensato, una notte di troppo evidentemente. Il primo essere umano a mia immagine e somiglianza se l'era portato via la luce del mattino ed ora non sapevo se ne avrei mai più incontrato un altro: se mai avrei rivisto quegli occhi verdi. Pensai persino di tornare a casa e raccontare tutto, come buttandoti da un ponte, per farla finita una volta per tutte. Mi avrebbero detto Omosessuale. Si dice così?
Un giovane omosessuale che soffriva come la ragazza che aveva accanto, quella a cui il ragazzo le aveva appena detto basta, si diresse a prendere un autobus ripercorrendo gli stessi passi, che l'avevano visto frettoloso giungere a quel vicolo ma stavolta gli parvero infiniti quei pochi metri. Ogni centimetro del marciapiede gridava "sei fregato, non hai più niente".
Tutti gli odori di quel corpo e i sapori di quella bocca gli inondarono la testa come la risacca sulla spiaggia per poi ritirarsi come lei, impossibili da trattenere.
Dalla finestra del salotto, nel quale i miei genitori sembravano aver trovato rifugio dal mondo, guardavo la pineta ormai ammantata di Autunno e le sue foglie gialle marroni o rosse tutte identiche ma tutte diverse, cadere una dopo l'altra sotto il peso della linfa che gli mancava, quanto a me mancava lui.
Un richiamo per la cena, profumo di nulla, poche parole, un piatto tiepido che sapeva di prigionia, finito il quale nessuno aveva qualcosa da dire o da sentire.
" devo dirti una cosa" - feci io, una volta rimasto solo con lei.
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