La banda del 52 CAP 9: innocenti evasioni.

Da Stanford @stanfordissimo
Il mattino era trascorso e anche il pranzo odioso della domenica. La superclassifica che ascoltavo di solito a quell'ora non mi aveva appassionato come al solito con le sue canzoni, così in quel limbo tra la una e le tre, nel silenzio del dopopranzo sonnolento degli adulti, mi ero appartato col mio uomo di carta in bagno.
Quella volta non era l'eccitazione a governarmi ma la curiosità: mi chiedevo che forma avrei assunto in definitiva, se per esempio, sarei diventato grasso come mio zio Riccardo o se non sarei cresciuto in altezza come mio fratello, nel farlo mi misi in piedi sullo sgabello per potermi vedere nel misero specchio che sembrava non voler dar troppo spazio alla vanità. Tirando via la maglietta guardavo il mio torace di ragazzino e non vedevo segni di muscolo.
Le ossa del busto sembravano voler essere contate una ad una e la pelle, leggermente accapponata da un brivido, mi faceva sembrare un pollo spiumato ma io dovevo assolutamente trovare un segno che mi dicesse qualcosa del futuro o del presente. Gli occhi scorrevano la pelle pallida in cerca di un pelo, magari nero, anche uno ma solo sotto le ascelle, un alone grigio, ne testimoniava la futura presenza. Anche loro, come me, parevano indecisi ne lunghi ne corti se ne stavano li vili e puzzolenti a dirmi,  fai schifo. Quelli come me nascevano con un corpo come questo? Chissà com'eri uomo di carta alla mia età?
Mi voltai sperando che alle mie spalle il corpo avesse un aspetto migliore, e in effetti c'era una curva quasi armoniosa nella mia schiena che scivolava fino a sparire tra le natiche sode e rotonde del mio culo acerbo. La mano che di solito serviva per pulirmi, quella mano sgarbata che mi avevano insegnato a infilare tra le chiappe piena di sapone per cancellare la vergogna dello "sporco", indugiò stavolta con garbo, come la risacca sulla battigia, per poi ritirarsi. Ero bello da dietro. 
Mi guardai di nuovo stavolta più clemente, cercando di trattenere quella sensazione di piacevolezza sulla mano, come temessi di ripiombare nello schifo che avevo imparato facilmente a provare per me, e una frase uscì dalle mie labbra: io sarò sempre magro! 
Non so perché dissi magro, forse la prima parola che riuscii a trovare, ma curiosamente persino oggi il mio corpo sembra aver risposto proprio a quel comando. Ancora oggi, lotta contro il tempo con le sue sole forze, per mantenere quella promessa. E ci riesce.
Forse non sarei mai stato come l'uomo di carta, ma cominciai a pensare che non importasse. 
Non credo che i miei amici si ponessero queste questioni, perché non parlavamo mai dei nostri corpi, noi li usavamo per l'avventura come le nostre bici sgangherate: com'erano erano.
Il suono del citofono mi raggiunse che ero già felice, non potei che esserlo di più sentendo Giuseppe che diceva: Vieni giù? Come ogni giorno. Certo che ci vengo!
Ci sono giornate a Genova in cui il vento soffia dai monti e dal mare, come a ricordarle l'origine bifronte del suo nome. In quei giorni non c'è molto che puoi fare: i palloni non tengono la linea del calcio, le bici sbandano e la pineta ti schiaffeggia il volto con la terra, i gatti si nascondono, quindi la banda del 52 era solita trovare riparo nell'esterno del portone essendo sotto il livello della strada e cinto dai muri.
Erano le volte in cui Alex ci intratteneva con le sue imitazioni e quelle in cui ci si inventava di saltare i quattro gradini a piè pari con un balzo: l'ideale per correre ancora qualche rischio che non rendesse il pomeriggio troppo noioso. Ma il passatempo più interessante era quello di aspettare che uno dei ragazzi grandi passasse tra noi per uscire. Soprattutto di Domenica, erano soliti uscire con le ragazze e lo sapevamo perché, come mio fratello, uscivano tutti perfettini, col gel nei capelli tutti indietro come Fonzie, e il profumo che non deve chiedere mai.
Alessandro in particolare, proprio non resisteva e cominciava a seguirli chiedendo: mi fai accendere il motorino? Pieni di disprezzo per noi pidocchi, non ce n'era uno che dicesse di si ma anzi con la mano, ci facevano cenno di sparire, senza nemmeno parlarci, allora alessandro e Giuseppe  cominciavano a canzonarli. Io non ero così audace, quelli grandi mi intimorivano troppo. Uno di questi in particolare era un tipo irascibile e Alessandro l'aveva preso di mira, provandoci gusto. "Tamarindo" continuava a ripetergli fino a che quello scattava ad inseguirlo per dargliele di santa ragione! Il tamarindo, che era una bibita in realtà era sinonimo di tamarro, ecco perché provocava quella reazione quasi certamente. I grandi avevano tutti la tendenza a menar le mani per nulla ma, Alessandro la lepre, non era facile da prendere e la sua grande soddisfazione era vederli rinunciare e, una volta sudati e scomposti, ritornare a casa a cambiarsi. Com'era divertente vedere anche  mio fratello correre sulla punta dei piedi e non riuscire ad acciuffarlo. E' andato giù dalle scalette, gli dicevo, ma non era vero. 
Pochi anni ci dividevano dall'essere come loro, ma ci dicevamo che non saremmo mai stati così scemi, e poi, mai e poi mai avremo fatto tutte quelle smancerie ad una femmina!
Ma cosa ne potevamo sapere noi di femmine? Di come invece, il rendersi conto del loro bisogno, avrebbe presto diviso le nostre strade, sciolto il sodalizio della nostra banda.
Finita l'azione molesta, tornavamo ai gradini in attesa del prossimo, a saltarli a piè pari.
Il 52 aveva una netta maggioranza maschile nella nostra fascia di età, per cui le femmine erano tutte più grandi e quelle nessuno osava salutarle, anche loro, uscivano vestite e profumate e civico per civico le vedevamo dalla ringhiera del piazzale, confluire tutte in un unico gruppo che si fermava al capolinea del 52. Sedute sul muretto fingevano di essere li per caso, solo per loro ma in pochi minuti, i motorini di tutti i maschi grandi si sarebbero prodotti in sgommate, cross e colpi di clacson per farsi notare! 
Solo a sua sorella talvolta Alessandro faceva qualche dispetto, tipo alzargli la gonna, ma anche lei come sua madre gli urlava "Deficiente". 
Perché secondo loro eravamo tutti così stupidi? Loro c'erano mai andati nell'intercapedine coi fiammiferi? O nella diga a prendere i palloni? Avevano mai preso in mano le tavole di legno col vischio nel quale un topo imbrattato si agitava per liberarsi? Erano riusciti a far scendere di sera il pipistrello che girava intorno al lampione, usando una pallina fosforescente, fino a colpirlo con la racchetta da tennis?
Nella nostra insensatezza, non c'era malvagità ma quella volta, a vedere il pipistrello morto io, una volta soddisfatta la curiosità di sapere come fosse fatto, mi sentii davvero male. Sembrava sorpreso anche lui di quel colpo, come se nessuno gli avesse mai detto che poteva succedergli, la piccola bocca aperta come gli occhi neri su quell'ultimo cielo notturno.
Che cazzo te ne frega di un topo che vola, sai quanti cene sono?-  mi dissero ma poi lo seppellimmo tutti insieme sotto il salice, perché anche se non lo avrebbero mai ammesso, anche loro si erano resi conto di quanto la inanimata creatura facesse pena con quel buco nel petto!  La noia, alla nostra età, poteva essere davvero fonte delle peggiori idee ma d'altronde i nostri ormoni, indecisi sul da farsi benché presenti,non ci potevano che cacciare nei guai. 
Le ragazze e i grandi avevano fatto ritorno che eravamo ancora mesti e diffidando della nostra calma ci guardarono come noi avevamo guardato il pipistrello morto: con compassione e sospetto. 
Le madri alle finestre ci chiamavano per la cena ognuna a suo modo, generalmente per nome, tranne la mia che mi chiamava con un fischio come si fa coi cani.  Ciao Ale, ciao Giuse. Sulle scale odore di mangiare, e rumori di pesanti serrature. 
Dopocena presi il libro di scienze, e scoprii che i pipistrelli non hanno bisogno della vista, che ci vedono in un altro modo e sono in grado per questo, di scorgere ostacoli da lontano, così come individuare le loro prede. Dalla finestra della sala intorno al lampione ne volavano altri e mi chiesi se non lo stessero cercando..dovevo fare qualcosa! Aprii la finestra appena appena. Buio. 
Dì la preghiera prima di dormire! - si raccomandò mia madre. 
"Signore, scusami per aver ucciso un pipistrello, per aver spaccato la lampadina del lampione con la fionda così i suoi amici cambiano posto e per essermi toccato il culo stamattina. Solo una domanda: ma sei sicuro che la vista non gli serve? 
Buonanotte.