Lo scontro armato dei Campi Catalaunici (o Maurici), indicato pure come scontro armato di Chalons, ebbe luogo il 20 giugno del 451 d.C.[1] in una estesa zona pianeggiante della Gallia non lontana dall’odierna cittadina di Châlons-en-Champagne. Nella battaglia i soldati del comandante romano Ezio, principalmente barbari ai quali si unirono i Visigoti (che avevano stipulato un’alleanza con il magister militum Ezio) ebbero la meglio sugli Unni capeggiati da Attila.
PRESUPPOSTI
Intorno al 450 d.C. i Romani mantenevano oramai un possesso della Gallia solo nominale e svariati popoli germanici si erano stabiliti in sue diverse aree con il benestare dell’imperatore, che li riconosceva come foederati. Nella Gallia del nord si erano stanziati i Franchi, in Aquitania i Visigoti, invece i Burgundi si installarono nei territori prossimi alle Alpi.
Perché Attila decise nel 451 d.C. di portare gli Unni ed i loro alleati in Gallia?
Genserico
L’autore bizantino di trattati storici, Giordane, in primis ritiene che su Attila fece pressione sul sovrano dei Vandali, Genserico[2], affinché intraprendesse una azione militare contro i Visigoti, a causa di una forte contrapposizione tra le due popolazioni. Inoltre Genserico voleva far in modo che vi fosse ostilità tra i Visigoti e l’Impero romano[3]. Un secondo motivo venne offerto dall’aspirazione del monarca unno di sposare Onoria, sorella dell’imperatore romano d’Occidente Valentiniano III. Onoria, non volendo unirsi in matrimonio con il senatore Basso Flavio Ercolano[4], mandò una lettera ad Attila chiedendo di soccorrerla. La stessa non aveva alcuna intenzione di contrarre matrimonio con il sovrano unno, ma questi intese il messaggio come una offerta di prenderla in moglie, pertanto acconsentì rivendicando come dote la metà dell’impero d’Occidente[5]. Ovviamente Valentiniano III ritenne nulle le pretese di Attila e questi considerò il rifiuto delle sue richieste come una valida ragione per occupare la Gallia.Attila
Intanto Ezio (per il nobile gallo-romano e santo, Sidonio Apollinare, il comandante romano poteva disporre di un numero esiguo di soldati)[9] venuto a conoscenza della penetrazione e diffusione degli Unni in Gallia e grazie ai buoni uffici del magister militum della Gallia Avito (divenuto imperatore negli anni seguenti), persuase il monarca dei Visigoti, Teodorico I, e molti altri barbari che vivevano in Gallia[10] a stringere un’alleanza con lui. Queste truppe eterogenee, sotto il suo comando, raggiunsero Aurelianum probabilmente il 14 giugno, sottraendola ad un sicuro saccheggio degli Unni, che erano riusciti ad introdurre pochi armati nel centro abitato mediante una parziale demolizione delle opere di difesa. Attila, informato dell’approssimarsi dell’esercito di Ezio, preferì allontanarsi da Aurelianum per non divenire da colui che assedia ad assediato ed era inoltre desideroso di individuare una area più adatta alla battaglia. Teodorico ed Ezio, dopo aver salvato dalla rapina e dalla devastazione il centro urbano sopramenzionato, cercarono di raggiungere gli Unni che battevano in ritirata. I due schieramenti, infine, si affrontarono ai Campi Catalaunici il 20 giugno del 451 d.C.SVOLGIMENTO
Non si conosce con precisione dove fossero i Campi Catalaunici. L’autore inglese di trattati storici, Thomas Hodgkin, li colloca vicino al paesino di Méry-sur-Seine[11], ma la convinzione prevalente li situa in prossimità di Châlons-en-Champagne. Giordane crede che lo scontro armato sia avvenuto nella Maurica, una estesa regione posta fra il corso d’acqua della Mosella ad oriente ed il fiume Senna ad occidente. Una congettura inedita per stabilire la corretta località della battaglia è stata fatta da un docente universitario[12]. Il Bussagli, fondandosi su una accurata ricostruzione toponomastica, è convinto che la distesa pianeggiante dove si affrontarono gli eserciti sarebbe nei pressi del villaggio di Vadenay (271 abitanti, dipartimento della Marna).
La battaglia dei Campi Catalaunici
La notte antecedente allo scontro armato, truppe di Franchi alleati dei Romani combatterono contro una formazione militare irregolare di Gepidi, fedeli al sovrano unno. La battaglia fu molto violenta e Giordane riporta che morirono 15.000 uomini per ciascun schieramento[13]. Inoltre nella stessa notte Attila si rivolse a persone considerate capaci di predire il futuro affinché prendessero in esame gli intestini e gli altri organi contenuti nella cavità toracica e addominale degli animali offerti in sacrificio. Questi preannunciarono la sconfitta degli Unni, ma anche che sarebbe stato ucciso in combattimento uno dei capi dei loro avversari. Pertanto il monarca unno si convinse che il magister militum Ezio avrebbe perso la vita e quindi andò consapevolmente incontro alla possibilità di un insuccesso pur di osservare la dipartita del suo avversario. Stabilì che gli Unni cominciassero a guerreggiare a partire dal pomeriggio (ora nona) in maniera tale che il momento abbastanza prossimo della giornata in cui il sole tramonta circoscrivesse la disfatta delle sue forze armate[14]. Giordane asserisce che i Romani si sistemarono nella parte sinistra dello schieramento, i Visigoti nella parte destra e gli Alani di Sangibano, sulla cui lealtà si avevano forti perplessità, al centro, dove era più facile controllarli. Oltre a ciò lo storico bizantino dichiara che nella pianura catalauna era presente un colle sovrastante l’area dello scontro armato. Era di fondamentale rilevanza conquistarlo e per questo motivo fu al centro di aspri duelli. I Romani furono in grado di impossessarsi per primi della cima della collina, ricacciando indietro gli Unni, desiderosi anch’essi di impadronirsene. Questi ultimi si ritirarono in modo disordinato, provocando il collasso delle proprie truppe.Frattanto Teodorico I, sovrano dei Visigoti, morì mentre assaliva gli avversari in fuga. Il suo cavallo lo sbalzò di sella e fu calpestato e trascinato dai suoi guerrieri lanciatisi all’inseguimento, non avendo essi consapevolezza di quanto stava succedendo. Ma Giordane racconta pure una differente modalità di decesso, stando alla quale il monarca visigoto venne privato della vita dall’ostrogoto Andag (l’autore bizantino di trattati storici conosceva bene questa versione, essendo stato alle dipendenze di Gunthigis, figlio di Andag)[15].
Teodorico I
Attila dovette cercare rifugio nel proprio accampamento recintato. Sia i Romani che i Visigoti stavano per impadronirsi del campo degli Unni quando sopraggiunse il calare del sole. Torrismondo, figlio di Teodorico, restò ferito, ma i suoi armati riuscirono a sottrarlo ad un pericolo grave e alla morte. Invece Ezio non vide più i suoi soldati per colpa della mancanza di luce e passò ciò che rimaneva della notte con i Visigoti[16]. La mattina successiva i Romani ed i loro alleati accerchiarono il campo unno, lanciandovi numerosi dardi e ritenendo che gli Unni avessero poco cibo. Attila, pensando che fosse giunta la sua ultima ora, fece preparare una catasta di legna per cremare il suo cadavere, non volendo essere catturato dai suoi avversari[17]. Nel tempo in cui il sovrano unno era bloccato nel suo accampamento, i Visigoti rintracciarono (in seguito ad accurate ricerche) la salma del loro monarca Teodorico, posta sotto svariati corpi umani privi di vita.Torrismondo desiderava assalire e distruggere l’accampamento unno una volta per tutte, ma venne distolto da quel proposito da Ezio. Stando a Giordane il magister militum dei Romani aveva il timore che, se gli Unni fossero stati sconfitti e sterminati, i Visigoti non avrebbero più desiderato essere alleati con Roma e sarebbero divenuti un pericolo incombente per l’impero. Pertanto Ezio persuase Torrismondo a ritornare in fretta e furia a Tolosa per essere incoronato re prima che questa idea non balenasse nella mente dei suoi fratelli. San Gregorio di Tours afferma che Ezio utilizzò lo stesso sotterfugio affinché pure gli alleati Franchi abbandonassero i Campi Catalaunici. Attila, subodorò che la partenza dei Franchi e dei Visigoti fosse ingannevole con il fine di farlo uscire dal campo e distruggere ciò che rimaneva delle sue truppe. Perciò preferì non muoversi per un po’ di tempo. Infine abbandonò il campo ed oltrepassò il Reno[18].
La straordinaria vittoria conseguita da Ezio ai Campi Catalaunici non fu risolutiva. Il magister militum dei Romani non cercò di raggiungere le forze armate unne in ripiegamento perché la loro totale distruzione avrebbe avvantaggiato in maniera eccessiva l’alleato più forte di Roma, i Visigoti. Visto che non aveva potuto depredare la Gallia, l’anno seguente il monarca unno invase l’Italia[19].
Giampiero Lovelli
BIBLIOGRAFIA
M. BUSSAGLI, Attila, Rusconi, Santarcangelo di Romagna 1986;G. CLEMENTE, Guida alla storia romana, Arnoldo Mondadori, Milano 1985;A. FREDIANI, Gli ultimi condottieri di Roma, Newton & Compton, Roma 2001;A. FREDIANI, Le grandi battaglie di Roma antica, Newton & Compton, Roma 2002;T. HODGKIN, Italy and Her Invaders, Clarendon Press, Oxford 1895;P. HOWARTH, Attila, Piemme, Casale Monferrato 1997;P. MATYSZAK, I grandi nemici di Roma antica, Newton & Compton, Roma 2005;M. PANI – E. TODISCO, Storia romana, Carocci, Roma 2008;A. SPINOSA, La grande storia di Roma, Mondadori, Milano 2000.
[1] Spinosa, A. La grande storia di Roma. Milano: Arnoldo Mondadori, 1998, p. 511.[2] Frediani, A. Le grandi battaglie di Roma antica. Roma: Newton & Compton, 2002, p. 348.[3] Getica 36, pp. 184-186.[4] Howarth, P. Attila. Casale Monferrato: Piemme, 1997, p. 112.[5] Matyszak, P. I grandi nemici di Roma antica. Roma: Newton & Compton, 2005, p. 258.[6] Clemente, G. Guida alla storia romana. Milano: Arnoldo Mondadori, 1985, p. 325.[7] Frediani, A. Gli ultimi condottieri di Roma. Roma: Newton & Compton, 2001, p. 200. [8] Getica 36, p. 194.[9] Carmina 7, p. 329.[10] Carmina 7, pp. 333-356.[11] Hodgkin, T. Italy and Her Invaders. vol. II. Oxford: Clarendon Press, 1895, pp. 160-162.[12] Bussagli, M. Attila. Santarcangelo di Romagna: Rusconi, 1986, pp. 17-19. [13] Getica 41, p. 217.[14] Getica 37, p. 196.[15] Getica 40, p. 209.[16] Getica 40, pp. 209-212.[17] Getica 40, p. 213.[18] Getica 41, pp. 214-217.[19] Pani, M.; Todisco, E. Storia romana. Roma: Carocci, 2008, p. 373.