Ho conosciuto Derek Raymond, diversi anni fa, sulle pagine di un libro - Aprile è il più crudele dei mesi - che avevo acquistato più che altro per il titolo, citazione di grande poesia piantata nel cuore di un noir. E non so se sia giusto considerarlo una sorta di James Ellroy inglese, non so in effetti se sia accettabile per qualsiasi scrittore la sarabanda delle comparazioni e degli accostamenti.
Ma quello che mi importa è che Derek Raymond è solo e soltanto Derek Raymond. Con le sue storie spietate che non sono solo sangue e morti ammazzati, che sono anche lirica dolente, bellezza annidata nello sporco della vita. Con il suo sguardo capace di sgretolare ogni ipocrisia e di andare al cuore delle cose. Con le sue parole come la partitura musicale di un balletto dove male e bene danzano insieme, più che intrecciati, confusi l'uno nell'altro.
Stanze nascoste è la sua autobiografia, pubblicata da Meridiano Zero. Non l'ho ancora letta, ma so qualcosa della vita di Derek Raymond, uomo perennemente in fuga, uomo che decise di nascondersi a se stesso (Derek Raymond, tra l'altro, è uno pseudonimo) e al destino che gli era stato assegnato. Uomo che è perfino troppo facile reclutare nella folta schiera degli scrittori maledetti, lui che si sottrasse agli agi famigliari e agli studi di Eton per vivere tra i miserabili, accompagnarsi a trafficanti e assassini, innamorarsi di prostitute e alcolizzate.
Non cercate la sua biografia, in Stanze segrete. Cercate la sua vita, complicata e sfuggente, bella come un lampo nella tempesta.