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LA BHAKTI TRA AMORE DIVINO E OPERA NEL MONDO. LA VITA DI SAN FRANCESCO NEGLI AFFRESCHI DI GIOTTO AD ASSISI (PARTE SECONDA) di Fabrizio Fittipaldi.

Da Csbmedia
LA BHAKTI TRA AMORE DIVINO E OPERA NEL MONDO. LA VITA DI SAN FRANCESCO NEGLI AFFRESCHI DI GIOTTO AD ASSISI (PARTE SECONDA) di Fabrizio Fittipaldi.Giotto, nato solo pochi anni dopo la scomparsa di Francesco, non è un pittore nel senso in cui potrebbe superficialmente intenderlo un uomo immerso nella mentalità moderna. Egli è un vero e proprio seguace degli insegnamenti e dell'altissimo modello tracciato dal più italiano dei santi. Dobbiamo renderci conto che l'influenza di questo messaggio non è rimasta circoscritta all'ambiente monastico, ma ha dilagato oltre i limiti della teologia, affermandosi profondamente nella società e conquistando migliaia di anime desiderose di soddisfare la propria sete di autentica realizzazione spirituale. Tra questa turba fervente che si riversa nelle strade delle città innalzando canti di gloria al Signore, alcune personalità di grande rilievo hanno saputo celebrare e perpetrare le glorie del santo con un'arte che si pone direttamente al servizio del divino. È questo il servizio che con piena devozione, dedizione e rigorosa coerenza hanno realizzato persone come Dante e Giotto, uniti non solo da legami di amicizia, ma ancor di più da un comune e profondo sentire religioso. I frutti del loro intenso scambio sono evidentissimi nelle rispettive iconografie, relative alla vita di S. Francesco, che ripercorrono scena dopo scena gli stessi eventi e le cui differenze possono benissimo essere attribuite alle specifiche esigenze dei committenti. Le stesse qualità intrinseche delle loro opere rispecchiano e manifestano la loro profondissima partecipazione a quei valori e sono straordinariamente corrispondenti tra di loro, come manifestazioni, attraverso linguaggi differenti, degli stessi principi originari.L'amore per il Creato e per tutte le Creature, il valore immenso che S. Francesco attribuisce a questa dimensione mondana (laboratorio per esprimere nelle opere i propri sentimenti e la propria intelligenza, completamente votata alla compassione), l'irresistibile pulsione al dialogo e alla concordia, trovano il loro corrispettivo nella straordinaria intuizione e competenza psicologica di questi artisti e nella loro capacità di descriverne le dinamiche sottili. È solo con questi strumenti che Giotto può descriverci le sfumature di umore che attraversano il volto di S. Francesco e quello degli altri personaggi, raccontandoci così una storia complessa se pur nello spazio immoto di una rappresentazione pittorica. La penetrazione psicologica dell'artista è riflessa anche nella significativa gestualità dei personaggi (talento condiviso e ereditato del suo grande maestro Cimabue) e nella raffinata descrizione degli ambienti: la psiche è un elemento della natura che attraversa ogni suo aspetto e che struttura una rete dalle maglie strette e dal disegno complesso.Ma c'è una dimensione ulteriore che il pittore si sforza di indicarci e che è tutta trattenuta nella figura di Francesco e nella sua gestualità, allo stesso tempo contenuta ed espressiva, intensa: è la dimensione puramente spirituale che trascende ogni energia materiale, per quanto sottile e invisibile. È nel tentativo di descriverci e di rimandarci a questa realtà, di narrarcene le dinamiche e le avventure che la caratterizzano, che Giotto rielabora con inventiva e coraggio un linguaggio simbolico tradizionale, riscattandolo da un immobilismo standardizzato ed immergendolo nella dimensione terrena, facendolo interagire con essa, a sottolineare quella presenza del divino nell'immanente che caratterizzerà il messaggio e la vita di S. Francesco. I colori di Giotto, che sono solo l'ombra di quelli che ottocento anni fa fecero sbalordire il mondo intero, rappresentano al meglio, con il loro splendore, quella dimensione spirituale che trascende la materia e la innalza ad un livello di purezza straordinario. Non sono più i colori codificati delle icone medioevali, ma ne conservano e ne perpetuano la capacita di esprimere la dimensione suprema e di immergere e avvolgere gli ambienti e le figure in quella auto luminescenza che è propria di questa residenza superiore e che non può dipendere da nessuna sorgente di luce materiale. Dante, prima di chiunque altro, seppe apprezzare questa elevatissima capacità di Giotto di infondere lo Spirito nelle sue opere e per questo talento lo celebrerà nella sua Divina Commedia come colui che seppe superare il suo stesso maestro, il grande e riconosciutissimo Cimabue. La sintonia tra queste tre straordinarie personalità, seppure collocate a differenti gradi di evoluzione, è ribadita da quel comune sentire che permette di considerare le opere -che siano espressioni delle arti o differenti frutti della coscienza- spirituali, nella misura in cui sviluppano Amore per Dio e gusto per i piaceri celestiali. Ciascuno di noi è chiamato a esprimere il suo amore agendo nel mondo e sforzandosi di praticare i sentimenti più elevati in questa dimensione turbolenta: conquistando attimo dopo attimo il nostro territorio interiore, sottraendolo alle tenebre dell'invidia e del rancore e ritrovando in noi la luce della speranza e della bellezza che tutto avvolge, e che fa risplendere la Verità al di sopra di ogni ombra e oltre ogni impedimento. È in questa luce che risiedono i tesori che da sempre muovono l'irrefrenabile ricerca dello spirito: l'eternità, la beatitudine, la consapevolezza e, al di sopra di tutto, l'Amore universale per il Creato, per tutte le Creature e per il Creatore.

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