Tiziano Fratus è l’Homo Radix, un cercatore d’alberi che si inoltra anima e corpo nella foresta scolpita, un’instancabile esploratore che alla stregua di un devoto pellegrino si genuflette al cospetto dei più grandiosi e antichi santuari della natura. Dal Pollino alla Valle d’Aosta, dall’Alto Adige alle White Mountains californiane, dagli itinerari più turistici alle aree meno battute, un viaggio da un capo all’altro della Terra (da un arbusto all’altro, di radice in radice, di ramo in ramo), una perlustrazione che è in primo luogo una riappropriazione. Fratus cerca alberi vetusti, vecchi patriarchi, pinosàuri centenari (e in taluni casi millenari), mastodontici alberi-elefante tenacemente aggrappati alla vita anche sul ciglio dei dirupi più impervi o nel profondo orrido dei crepacci.
Per Fratus l’albero è al contempo un testimone e un sopravvissuto, un libro monumentale scritto dalla natura sulla natura, un’opera di scultura levigata dal tempo, scanalata dalle piogge, piegata dalle brezze o spezzata dalle notti di tempesta, un totem irrobustito dal sole e ingentilito dalla luna, un dito sollevato dalla Terra a indicare il cielo, o quello che si nasconde al di là del cielo. Deformati dallo stillicidio degli elementi – bruciati dal gelo, trafitti dai fulmini, scorticati, soffocati «dal fine strangolamento del fuoco e dal cammino inesorabile della carie» – gli annosi e nodosi tronchi (di pino, di larice, di maleleuca, di ulivo, di castagno…) resistono strenuamente, e fieri esibiscono le lacere cortecce come loriche di guerra. Sul Pollino troneggia il Patriarca, un pino loricato vecchio quasi mille anni (dato comprovato da un carotaggio che ha rivelato ben 963 anelli); ha tagliato il traguardo del millennio anche il larice di Morgex (in Val d’Aosta), 505 cm di circonferenza per 30 metri d’altezza, «…Mille anni di crescita. Non riesco mai a immaginarlo, tutto quel tempo. Mille anni fa, quando questo albero era uno stuzzicadenti che spuntava dall’erba, gli uomini vivevano nel Regno di Lombardia, che confinava a sud col marchesato di Toscana e a est con quello di Verona. In Europa vivevano cinquanta milioni di persone. L’umanità iniziava a usare l’aratro tirato dai buoi, a costruire edifici e a ingrandire i villaggi, a sfruttare la forza dell’acqua e del vento con i mulini, il telaio a pedale entrava nelle abitazioni. Insomma i nostri simili si mettevano in cammino verso le grandi conquiste della tecnica e della scienza, dell’urbanistica e delle forme espressive dell’arte. Il larice di Morgex già radicava, fogliava, si ingialliva, resistendo alle nevicate.» Sulle White Mountains californiane svettano titani-Matusalemme di quasi 5000 anni, pinosàuri longevi oltre ogni immaginazione. Ogni albero è una grande storia raccontata per capitoli concentrici, anelli custoditi l’uno nell’altro, concatenati al respiro silenzioso di quel tempo che li ha generati. Ogni foresta è una biblioteca.
Fratus cita a più riprese il filosofo Andrea Emo, che scrive: «Una biblioteca è un mosaico le cui tessere sono i libri; nessuna tessera e nessun libro possono essere tolti senza togliere significato alla loro interezza, alla loro plenitudine.», e allarga l’analogia al bosco, alla cellulosa viva che alberga nei tronchi e nei rami. «I librai di cui ascolto i consigli – scrive Fratus – sono pinosàuri e altre conifere contorte, combattenti silenziosi che resistono laddove il resto della vita s’è fermata o non è mai arrivata. Loro sanno cos’è l’eternità, l’eternità nascosta nei millimetri compressi e resinosi che l’esistenza è in grado di sperimentare.» In quelle che chiama “campagne d’alberografie” Fratus esercita una forma personalissima di eziologia per tentare di decifrare e comprendere il linguaggio primordiale di conifere, sequoie e altri colossali vegliardi. Gli alberi di Fratus «portano addosso parole e strofe, parentesi da decodificare.» Le ricognizioni alberografiche attraversano “geografie inchiostrali”, e nei suoi taccuini (regolarmente smarriti nei boschi) il cercatore appunta stralci poetici e narrativi, riferimenti a libri, film, musiche e opere pittoriche: è forte l’urgenza di condividere e di mantenere aperto quel dialogo impossibile tra la ratio umana e la meravigliosa indifferenza della natura.
Massimiliano Sardina
Cover Amedit n° 23 – Giugno 2015 “Il ragazzo dagli occhi di cielo” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 23 – Giugno 2015.
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