“Faceva caldo e fresco nel medesimo tempo. Si poteva ancora andare a far il bagno sulla spiaggia.
C’erano tante cose che volevo fare tutte in una volta, che non stavo più nella pelle.
Innanzi tutto, mi sarei messo anche a dipingere. Lasciai vagare la mente seguendo il suo estro, e d’improvviso essa si arrestò sopra un’immagine ben amata. La bicicletta!
Che cosa meravigliosa sarebbe stata riuscire a rientrare in possesso della mia vecchia bici da corsa!
Appena due anni addietro l’avevo venduta a mio cugino che viveva lì a due passi.
Forse era li pronto a rivendermela.
Era un modello speciale che avevo comperato d’occasione da un corridore tedesco, alla fine d’una Sei Giorni. Fabbricata a Chemnitz, nella Boemia. Ah, da quanto tempo non facevo un giretto in Coney Island (pr. Coni Ailand): Giorni d’autunno! Fatti apposta per la bici.
(Innalzai una preghiera perché quell’imbecille di mio cugino non avesse cambiato il sellino; era un sellino comperato da Brooks (pr. Brucs) e ben domato dall’uso. E quelle cinghie che si adattavano ai pedali, speravo che non le avesse gettate via).
Ricordando il contatto del mio piede che guizzava nel pedale vissi le più deliziose sensazioni.
Eccomi correre lungo la pista sabbiosa sotto la volta degli alberi di Prospect Park a Coney Island, il ritmo divenuto una cosa sola con la macchina, il cervello completamente vuoto, desto alla sola sensazione di traversare lo spazio, rapidamente o lentamente secondo i comandamenti del mio cronometro interiore.
Il paesaggio vola via dai due lati come i fogli di un calendario.
Nessun pensiero, nemmeno sensazioni. Nulla se non l’incessante movimento in avanti nello spazio, immedesimato con la macchina.
Si, sarei andato di nuovo in bici tutte le mattine, soltanto per frustarmi il sangue.
Un giro a Coney Island e ritorno, una doccia e un massaggio, una deliziosa leggera colazione, e poi al lavoro, alla scrivania, certo.” Henry Miller.