Non sono “simpatici” i magistrati. Si sostituiscono a Dio giudicando fatti e misfatti, pronunciando i loro giudizi in nome del popolo sovrano che saprebbe lui come decidere, in certi casi, con certa gente. Nessuno in Italia può evitare le loro indagini, anche se la prosecuzione di un procedimento, la pronuncia di una condanna sono tutt’altra faccenda. Una casta di dipendenti dello Stato che guadagna al vertice della carriera cinque, sei volte quello che guadagnano altri dipendenti pubblici: anche se sono sempre meno i laureati che vogliono seguirne l’esempio, non ostante lo status invidiabile e la disoccupazione dilagante. Anche se un barista e un pizzaiolo, a ben vedere, e con tutto il rispetto, possono guadagnare più di lui senza rompersi la testa.
Ora, però, e non solo ora, a questa categoria vitale che svolge un lavoro tra i più complessi, dopo un lungo e rigoroso percorso di studi e un concorso pubblico notoriamente selettivo, il Governo in carica vuole mettere mano radicalmente, con un disegno di legge costituzionale definito dal Premier “epocale”. E’ bene leggerle con attenzione le proposte di modifica, provando poi a rispondere a domande come queste.
1. Quali vantaggi concreti deriveranno ai cittadini da questa riforma sotto il profilo essenziale della tutela dei loro diritti, considerando che non si andrà a incidere né sullo snellimento dei processi (a parte il venir meno della possibilità dell’appello del pubblico ministero in caso di sentenza di assoluzione) né sul pesante arretrato civile e penale, né sulla crescente esiguità delle risorse umane e materiali necessarie per far funzionare i palazzi di giustizia?
2. Considerata la cronaca recente e l’esperienza del ventennio fascista, può ritenersi priva di rischi la scelta di rendere l’azione penale non più obbligatoria ma affidata al “sistema di valori”, alle “priorità” e alle “contingenze” del potere di turno, espressi in forma di “legge”?
3. Come potrebbe lavorare con autonomia e coraggio, soprattutto nelle più gravi imputazioni contro i potenti, un pubblico ministero su cui incomba la minaccia di un’azione disciplinare da parte del nuovo organismo (Corte di disciplina della magistratura requirente) composto per metà da politici, di un ministro della giustizia con potere ispettivo da brandire come una clava, di una responsabilità personale che, in caso di errore, non ostante una copertura assicurativa, potrebbe comportargli un giudizio in sede civile e disciplinare, nonché un blocco della carriera e un trasferimento d’ufficio?
4. Prima di intervenire su meccanismi così delicati, posti a garanzia del corretto esercizio della funzione giurisdizionale, rivelatasi fondamentale e salvifica in molti momenti della nostra storia, sia contro la mafia e il terrorismo sia contro il malaffare politico ed economico, endemico e insidioso come le cronache continuano a confermare, non era forse giusto attendere riforme imprescindibili come quella elettorale e quella sul conflitto di interessi, per non dire degli interventi urgentissimi sull’occupazione e l’economia?
5. Ma è davvero il “popolo sovrano” che ha ritenuto prioritaria e urgente questa riforma, che nella migliore delle ipotesi per nulla inciderebbe sulla migliore tutela dei diritti dei cittadini, o è un solo uomo, per le vicende che tutti conosciamo, a volerla in modo così insistito?
6. E’ accettabile, in un paese normale, che una persona sotto processo intervenga su meccanismi ordinamentali che potrebbero non essere così ininfluenti sulla sua situazione processuale, non ostante le rassicurazioni che non si tratta di norme ad personam e la dichiarata non applicazione della riforma per i procedimenti in corso?
7. Perché parlare di ”apertura e confronto con l’opposizione”, in sede di discussione in Parlamento del disegno di legge, se poi ciò che da ultimo conta è la volontà di una maggioranza accortamente ricompattatasi e contatasi, dopo una “campagna acquisti” di cui i media hanno fornito nel dettaglio i retroscena?
Ognuno si dia le risposte che crede. (gn)