Recensione Jane Austen, Emma
«Questo, forse, è il miracolo più grande. Ecco una donna che, intorno al 1800, scriveva senza odio, senza amarezza, senza paura, senza protestare, senza giudicare. Era così che scriveva Shakespeare…»
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé
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Jane Austen
Ho dovuto chissà perché aspettare quest’anno per avere il piacere di leggere il mio primo libro di Jane Austen. Sono più che sicura che non sarà l’ultimo.
Indecisa come sono se proseguire con Mansfield Park o il super classico Orgoglio e pregiudizio (di cui non ho neppure visto il film, ma a questo punto tanto meglio, così potrò gustarmi i colpi di scena senza conoscerne l’esito) scrivo questa recensione con l’entusiasmo della scoperta. Il libro è Emma, scritto tra il 1814 e il 1815, solo qualche anno prima che l’autrice morisse – appena quarantaduenne.
La protagonista del romanzo è Emma Woodhouse, una giovane signorina «attraente, intelligente e ricca» dell’aristocrazia di provincia inglese. Orfana di madre, Emma è stata cresciuta nella amorevole villa paterna da un’affezionata governante che all’inizio del libro si è appena sposata con un simpatico gentiluomo della zona. Emma non solo si attribuisce il merito di questo matrimonio, ma si convince che arrangiare unioni vantaggiose sia uno dei suoi talenti e, forse anche per scacciare la noia della vita di provincia, subito si rimette all’opera.
La “vittima” di Emma è la semplice Harriet Smith, una giovane ragazza figlia di sconosciuti e cresciuta dalla direttrice del collegio locale. Emma si mette sfrontatamente in testa di prendere Harriet sotto la propria ala, con il preciso intento di combinarle un matrimonio vantaggioso. Il presuntuoso proposito di Emma porterà le due ragazze a vari grovigli di malintesi e intoppi, causando sofferenza alla povera Harriet e vari sensi di colpa a Emma. Ma si tratterà di temporali passeggeri destinati a sciogliersi in un radioso lieto fine, costellando la lettura di una serie di colpi di scena che la curatrice Sandra Petrignani definisce giustamente un «intreccio poliziesco, sia pure applicato a una trama per così dire domestica e sentimentale, senza cadaveri e senza sangue». Così la lettura diventa a un tempo frivola e irresistibile, intessuta di chiacchiericcio ozioso davanti a tazze di the e contemporaneamente avvincente come un’avventura.
Avventura che non è solo femminile (ci sono pretendenti, mariti, fratelli e un insopportabile buffo papà Woodhouse costantemente preoccupato delle correnti d’aria…) ma che ha nelle donne la propria locomotiva. Sono le donne che danno l’avvio a questo moto perpetuo di chiacchiere e avvenimenti e, per assaporare il romanzo, bisogna sopportare – insieme a Emma, a fatica – il cicalare vuoto e stucchevole della vicina di casa Hetty Bates, talmente perfetto nella sua vacuità da far sospettare che Jane Austen si sia divertita a stenografare di nascosto una qualche signora gaia, noiosa e prolissa.
Ma se al femminile è l’ingranaggio narrativo del romanzo, ancora di più lo è il suo discreto e contemporaneamente pieno punto di vista. Discreto perché, come notava Virginia Woolf, nella scrittura della Austen non c’è risentimento a interrompere la placidità dell’accettazione del mondo così com’è, e di conseguenza a descriverlo senza l’ingombro e l’ansia di una normatività alternativa. Al tempo stesso, è un punto di vista pienamente femminile poiché illumina ciò che gli scrittori uomini ignora(va)no: un mondo domestico e relazionale, corredato di amicizie per la vita, antipatie preconcette, vive piccole preoccupazioni sempre uguali a sé stesse, che la Austen riporta con divertimento.
- Emma, – disse lei, – questa carta da parati è peggiore di quanto mi aspettassi. Guarda! In certi punti, vedi, è terribilmente sporca. E i pannelli di legno sono più ingialliti e rovinati di quanto avrei potuto immaginare.
- Tesoro, vai a guardare il capello! – le disse il marito. – Ma che vuoi che sia! Non ci si accorgerà di nulla al lume di candela. Al lume di candela sembrerà tutto pulito come a Randalls. Non notiamo nulla che non va durante le serate al circolo.
Qui le signore si saranno scambiate occhiate che volevano dire: «Gli uomini non sanno distinguere lo sporco dal pulito», mentre i maschi avranno pensato tra sé: «Le donne hanno sempre queste preoccupazioni assurde e inutili» (p. 276)
Così alla consapevolezza della propria condizione
- È quasi inconcepibile che un uomo della sua età non possa decidere in modo indipendente su una questione del genere. Fosse una donna, caduta in cattive mani, potrebbe essere repressa e tenuta lontano dalle persone con cui vorrebbe stare, ma un uomo non si capisce come possa essere osteggiato così… (p. 135)
si mescolano un sorriso ironico e indulgente sulla stessa
«…la quale povera Isabella, che passava la sua vita con quelli che adorava, piena dei loro meriti, cieca ai loro difetti, e sempre presa in innocenti incombenze, avrebbe potuto essere un modello di perfetta felicità femminile» (p. 155).
e, solo una volta, un rimprovero non troppo bonario:
«…un vero, onesto collegio all’antica, in cui una ragionevole quantità di nozioni veniva venduta a un prezzo ragionevole, e in cui si potevano spedire le ragazze per togliersele di torno e per impegnarle a infarinarsi con un po’ di istruzione senza correre il rischio di vedersele tornare a casa geniali» (p. 26).
Anche grazie a questa leggerezza, a questo aver «consumato tutti gli ostacoli», la forza con cui ci si sarebbe ribellate a tutto questo stava per arrivare. Virginia Woolf sarebbe nata circa settant’anni dopo la pubblicazione di Emma. Intanto Jane Austen – una donna e una scrittrice – ci aveva regalato questo brioso, prolisso, adorabile “poliziesco sentimentale”.