Magazine Cultura

La Bohème: il Racconto del Viaggio dalla Giovinezza alla Maturità

Creato il 15 ottobre 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
La Bohème: il Racconto del Viaggio dalla Giovinezza alla Maturità

È una La Bohème che non esitiamo a definire "giovane", quella andata in scena al Teatro delle Muse di Ancona dal 9 all'11 ottobre. Giovane il cast di cantanti, tutti al debutto nel ruolo, che incarnano quasi alla perfezione i ragazzi bohémien protagonisti del plot, ma soprattutto è giovane l'allestimento scenico di Fabio Cherstich che, insieme alla regia di Nicola Berloffa, ha traghettato La Bohème di Giacomo Puccini in un'atmosfera anni Venti giocosa ma allo stesso tempo addolorata, invece che nel mondo del 1830 circa, come vuole il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. E se a prima impressione l'esperimento potrebbe creare il disgusto del pubblico che si aspetta una La Bohème perfettamente inserita nei canoni della rappresentazione tradizionale, e quindi molto aderente al libretto, in realtà il complesso è piacevole e brillante, coinvolgente e d'effetto, e ha contribuito a rendere lo spettacolo più vicino, e forse anche più comprensibile, allo spettatore del 2015.

L'azione si sviluppa in quadri costruiti in modo essenziale ma preciso. La gelida soffitta degli artisti è stilizzata in pochi elementi: la porta, la finestra, un essenziale camino e un materasso al posto del letto. All'interno di questo angusto ambiente nasce l'amore tra Rodolfo e Mimì, che appare fragile e malata già dalla sua prima apparizione in scena. E qui si costruisce per la prima volta quel continuo conflitto che pervade l'opera: il contrasto tra il clima gioioso e spensierato degli artisti e l'angoscia della malattia, della gelosia, della separazione e di tutti gli elementi drammatici del libretto. La Bohème si gioca tutta su questo contrasto di emozioni e sensazioni, sul conflitto tra gioia e scherzi e malattia e morte (ben rappresentate dalla metafora del freddo) e i cantanti sono stati abili nell'esprimere questa alternanza di senzazioni, a partire dalla scena dell'incontro tra i protagonisti, che è stata interpretata da Grazia Doronzio (Mimì) e Vincenzo Costanzo (Rodolfo) con levità e leggerezza e con una intensità che non è mai scaduta nel pàthos melodrammatico o in toni più banalmente patetici. Merito anche del lavoro del regista che ha saputo rinnovare i gesti scenici dei protagonisti rendendoli più contemporanei, più incisivi, a volte quasi comici, ma sempre pienamente rispettosi della tradizione.

Più pienezza di dettagli c'è nella struttura scenica del Caffè Momus che nel secondo quadro diventa l'ambiente in cui Rodolfo e Mimì rendono pubblica la loro recentissima relazione. I quadri in scena si alternano con estrema leggerezza e naturalezza e il passaggio dall'ambiente freddo, grigio e buio della soffitta al calore e al chiacchiericcio del Caffè Momus è fluido tanto da essere quasi impercettibile, come se davvero lo spettatore potesse assistere alla camminata che porta Mimì e Rodolfo all'incontro con gli altri amici. Notevole la performance di Musetta (Lavinia Bini), che in alcuni momenti quasi oscura la protagonista Mimì, per la sua verve e l'intensità del canto e della recitazione, più sguaiata solo per necessità teatrali ma sempre molto misurata, anche nell'esprimere la carica di sensualità del personaggio. Degna di nota anche la prova del Coro di Voci Bianche "ArteMusica", che ha saputo eseguire con poche imprecisioni l'infernale meccanismo musicale di salite e discese che Puccini ha utilizzato per ricostruire la confusione della vigilia di Natale al Quartiere Latino e l'arrivo del venditore di giocattoli Parpignol.

Il terzo quadro si apre sulla Barriera d'Enfer. Il colore grigio predomina sulla scena e rimarca la sensazione del freddo gelido di una Parigi ormai stretta nella morsa dell'inverno inoltrato. Il tempo della spensieratezza e dell'amore è finito. Mimì e Rodolfo sono sul punto di separarsi, e con la giovinezza sembra stia finendo anche il tempo dell'amore. La malinconia, i ricordi, i rimpianti e la pena della separazione sono stati resi alla perfezione nei duetti Mimì-Rodolfo e Musetta-Marcello, quest'ultimo interpretato da Francesco Vultaggio che con il suo canto ha saputo dare la giusta vitalità al personaggio dell'amico fraterno.

Puccini aveva costruito l'ultimo quadro come specchio del primo ma dalla soffitta degli artisti adesso sono scomparse la goliardia e la leggerezza, che hanno lasciato il posto al dolore e alla tristezza. Ed è come se la malattia di Mimì fosse la tappa finale di quel viaggio di iniziazione che ha portato i giovani bohémien dalla spensieratezza della giovinezza alla consapevolezza dell'età adulta. La stagione delle risa è conclusa, sono cadute le ultime illusioni, e adesso è il momento di rimboccarsi le maniche per aiutare Mimì morente cercando di racimolare pochi spiccioli per poter pagare il dottore. Molto intensa l'interpretazione di Vecchia zimarra di Colline (il basso Dario Russo), molto applaudito dal pubblico, che ha dimostrato di saper passare agevolmente dal registro comico a quello drammatico senza incertezze. Ottima è anche la performance di Italo Proferisce (il musicista Schaunard) che ha saputo interpretare il suo ruolo a tutto tondo, sia contribuendo a costruire i momenti di allegria collettiva, sia negli scorci più dolorosi della trama. A lui infatti è affidata la commossa diagnosi della salute di Mimì e infine la constatazione della sua morte nel finale.

Quella de La Bohème è in fondo una storia semplice. È un racconto abbastanza prevedibile ma che esercita sempre un grande fascino sul pubblico. La sua forza sta forse nell'aver saputo esprimere il tema unitario della celebrazione della giovinezza in un contesto che si pone come uno squarcio di vita contemporanea, intessuto di particolari quotidiani e casalinghi che prima de La Bohème non erano mai stati considerati degni delle scene operistiche. Le immagini di una normale esistenza sono evocate di continuo nei discorsi dei sei personaggi principali: il caminetto, i quadri, le seggiole, la chiave, la cuffietta e il manicotto di Mimì. E la grandezza di Puccini e dei suoi librettisti sta nell'aver saputo dipingere un quadro di vita metropolitana fatto di sentimenti intensi e di oggetti semplici, laddove in genere l'opera romantica preferiva tralasciare i dettagli, senza mai perdere di vista l'elogio dei grandi sentimenti e del terribile ma affascinante binomio amore-morte.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :