No. La borsa sul letto proprio no. Resto stupita da questa frase, e provo ad oppormi. La borsa è pulita, non l'ho mai appoggiata da nessuna parte. Ma il tono di lui è perentorio. Non capisco ma mi adeguo. Un lampo mi illumina e comincio a canticchiare una canzone che ascoltano sempre i miei figli, e chiedo ironicamente, se avesse attinenza al fatto che oggi è venerdì diciassette. Lui non si gira, come se non fossi nemmeno degna di risposta. Certo che deve essere una forma di superstizione ben radicata se a me fa ridere e a lui fa corrucciare la fronte, come fosse in balia di chissà quale disastro imminente. Eppure la superstizione è come una forza della natura, penso, nei secoli ha fatto più morti della peste stessa. Alzo gli occhi e guardo quell'uomo laureato, colto, con un'ottima posizione che cade preda di isteria perché è venerdì e per di più diciassette. Lo sfotto, o almeno ci provo ma lui non cede, sembra quasi impaurito. Inizia un sermone su tutto quello che gli è successo, negli anni passati, proprio in giorni come questo. Resto allibita. Vorrei parlare ma mi manca la saliva in bocca, come se avessi dovuto subire chissà quale vessazione. Riesco solo a dire che mi sono cadute le braccia e con loro anche la considerazione un po' speciale che avevo per lui. Si gira di scatto, come fosse stato morso da una tarantola e mi spiega che l'uomo è perfetto, ma corredato da qualche piccolo ed innocente paradigma.
Me ne vado, non posso ascoltare una parola di più. Come posso aver provato affetto per una persona così?
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