La Bottega del Caffè: il Noioso Vizio che Intorpidisce i Sensi

Creato il 12 marzo 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il marzo 12, 2012 | TEATRO | Autore: Manuela Marascio

Caffè per restare svegli. Avrei preso volentieri anch’io una tazza di quel nettare miracoloso che continuamente veniva versata nelle tazzine maneggiate sulla scena. Una delizia, per gli occhi dei caffeinomani, certo. Ma è l’unico piacere che si può ricavare dalla deludente rivisitazione di una commedia con cui, sicuramente, Carlo Goldoni intendeva suscitare, nel suo pubblico, qualche riflessione accompagnata da un’immancabile risata. Se, a distanza di centinaia d’anni, l’intento doveva essere quello di rappresentare Venezia in tutta la sua decadente monotonia, esprimendo, così, la crisi che la colse durante la metà del Settecento, allora si può comprendere, almeno in parte, la lentezza desolante con cui le azioni vengono portate avanti. Ma dov’è finita l’ironia intelligente di Goldoni? Perché i personaggi parlano al pubblico senza la consueta “strizzatina d’occhio”? Eppure, è così attuale questo gioco di poteri persi e acquisiti, così ricorrente il pettegolezzo fine a se stesso, che l’intreccio di soldi e dicerie avrebbe dovuto tenerci belli attenti sulla poltrona, in una costante tensione alimentata dall’attesa di un nuovo colpo di scena. Freddi e privi di sostanza, questi personaggi, incapaci di comunicare qualcosa alla società cui si rivolgono. Quella che doveva essere una tragica commedia “psicologica”, genera rarissimi sorrisi tra il pubblico e soddisfa a malapena le proprie pretese di drammaticità. Eppure, gli elementi più accattivanti ci sarebbero tutti: il doppiogiochismo di chi mira e espandere il proprio potere sul territorio, l’azzardo come eccitante sfida con se stessi, la conclusione di ogni affanno nel godimento dei piaceri più tangibili… Per non parlare, poi, del vero elemento unificante: il passaggio di informazioni e di notizie, che mette in comunicazione gli “attori sociali”, rendendoli protagonisti, anche solo per una giornata, delle trasformazioni della comunità che li contiene. Se ai tempi di Goldoni era ancora troppo presto per parlare di “società di massa”, noi, abitanti di quella parte del mondo che “conta”, siamo chiamati a rispondere dei meccanismi che trasferiscono i rapporti interpersonali nella dimensione dell’evento mediatico: non importa che una cosa sia bella o brutta, basta che se ne parli. Si dice così, no?

Bravo Elia Schilton, che colora il personaggio di Don Marzio con atteggiamenti che ricordano le maschere della Commedia dell’Arte: in questo modo, il ciarliero nobile decaduto è caratterizzato pienamente dalla sua indiscrezione, dalla parola, sempre “di troppo”, che vive alle spalle degli altri. Ma come condannarlo? Ben vengano i pettegolezzi, se rappresentano l’unico mezzo per movimentare, pur suscitando malintesi e mettendo zizzania, quei noiosi, noiosissimi personaggi. Viene da chiedersi se, almeno lui, ricavi un po’ di divertimento dall’osservazione di quelle futili esistenze – la risposta è no, per il semplice fatto che Don Marzio agisce d’istinto, senza riflettere, non essendo dotato di una vera personalità e mancando di interessi concreti, al di fuori del labirinto di chiacchiere e menzogne in cui egli stesso fatica a trovare l’uscita. È l’unico che conquista, a suo modo, noi spettatori, rendendosi spontaneamente simpatico nella sua fallimentare condizione esistenziale; quasi proviamo dispiacere, alla fine, quando ogni dito è puntato contro di lui, ed egli diventa il capro espiatorio di tutti i peccati, presunti o accertati, degli altri personaggi. È autentico, anche se sguazza nel fluido limaccioso della diffamazione. Ma, forse, un fondo di verità, nelle sue parole, c’è sempre stato. Alle donne, che sovente ricoprono ruoli importanti nella produzione goldoniana, questa volta non viene resa giustizia. Eccessivo pathos nella performance di Cinzia Spanò, che ha interpretato, in modi antitetici, due donne all’inseguimento del marito fuggente: svampita e insopportabilmente stupida la pellegrina Placida, lacerata e sofferente, come un’eroina delle tragedie greche, l’elegante signora Vittoria. Esagerazione sprecata.

E come poteva mancare la bella senz’anima che agita tempeste ormonali? Ornella Balestra è una étoile cadente nel mondo della recitazione, che non le appartiene. E cosa ci ha offerto? Un assolo mozzafiato? Una danza seducente alla Salomè? Niente del genere. La ballerina Lisaura si affaccia dalla finestra per illuminare la piazzetta con la sua chioma fulva, e fa ondeggiare il suo corpo flessuoso come una diva del cinema. Parla poco, per fortuna; avendo risparmiato sul ballo, qualcosa in più poteva essere speso almeno per una migliore articolazione delle parole. Poco convincenti gli altri, soprattutto il caffettiere Ridolfo, interpretato da Beppe Rosso: avrebbe dovuto mostrare il lato subdolo della sua indole buona e gentile, tipica del lavoratore onesto e instancabile, e, invece, non fa altro che bofonchiare deboli sentenze che cadono nel vuoto. Una nota di merito va indirizzata alla strutturazione dello spazio scenico: il regista ha voluto circoscrivere la rappresentazione in una piccola piazza, la cui forma doveva dare l’idea di uno stomaco in cui, attraverso una sequenza di porte e finestre opportunamente calate dall’alto, entrano “sostanze umane” destinate alla digestione. A noi, uomini del terzo millennio, che non sappiamo resistere al clamore dello scoop, cosa resta da fare, infine, dopo aver assistito a un evento mediatico così scadente? Immergiamo di nuovo il nostro corpo, così facilmente malleabile, in una società fatta di paparazzi, reality show, intercettazioni telefoniche, denaro buttato ed escort “rispettabilissime”. Caro Goldoni, quanto materiale avresti per una nuova, brillante commedia!

Per le immagini si ringrazia il Teatro Stabile di Torino – Fotografie di Paola Mongelli

La bottega del caffè

(una storia di intrighi e veleni)

di Luca Scarlini

da La bottega del caffè di Carlo Goldoni

Regia: Beppe Rosso – Assistente alla regia: Irene Zagrebelsky – Movimenti scenici: Ornella Balestra – Scene: Paolo BaroniLuci: Cristian Zucaro – Costumi: Laura Dondoli e Sofia Vannini – Direttore di scena: Francesco MinaFonico: Paolo Calzavara – Assistente: Alberto Barbi

con Elia Schilton, Beppe Rosso, Riccardo Lombardo, Cinzia Spanò, Paolo Giangrasso, Ornella Balestra

Produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino / ACTI Teatri Indipendenti / Residenza Multidisciplinare di Rivoli con il sostegno del Sistema Teatro Torino

Torino, Teatro Gobetti, dal 7 marzo all’1 aprile 2012



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