Bravo Elia Schilton, che colora il personaggio di Don Marzio con atteggiamenti che ricordano le maschere della Commedia dell’Arte: in questo modo, il ciarliero nobile decaduto è caratterizzato pienamente dalla sua indiscrezione, dalla parola, sempre “di troppo”, che vive alle spalle degli altri. Ma come condannarlo? Ben vengano i pettegolezzi, se rappresentano l’unico mezzo per movimentare, pur suscitando malintesi e mettendo zizzania, quei noiosi, noiosissimi personaggi. Viene da chiedersi se, almeno lui, ricavi un po’ di divertimento dall’osservazione di quelle futili esistenze – la risposta è no, per il semplice fatto che Don Marzio agisce d’istinto, senza riflettere, non essendo dotato di una vera personalità e mancando di interessi concreti, al di fuori del labirinto di chiacchiere e menzogne in cui egli stesso fatica a trovare l’uscita. È l’unico che conquista, a suo modo, noi spettatori, rendendosi spontaneamente simpatico nella sua fallimentare condizione esistenziale; quasi proviamo dispiacere, alla fine, quando ogni dito è puntato contro di lui, ed egli diventa il capro espiatorio di tutti i peccati, presunti o accertati, degli altri personaggi. È autentico, anche se sguazza nel fluido limaccioso della diffamazione. Ma, forse, un fondo di verità, nelle sue parole, c’è sempre stato. Alle donne, che sovente ricoprono ruoli importanti nella produzione goldoniana, questa volta non viene resa giustizia. Eccessivo pathos nella performance di Cinzia Spanò, che ha interpretato, in modi antitetici, due donne all’inseguimento del marito fuggente: svampita e insopportabilmente stupida la pellegrina Placida, lacerata e sofferente, come un’eroina delle tragedie greche, l’elegante signora Vittoria. Esagerazione sprecata.
E come poteva mancare la bella senz’anima che agita tempeste ormonali? Ornella Balestra è una étoile cadente nel mondo della recitazione, che non le appartiene. E cosa ci ha offerto? Un assolo mozzafiato? Una danza seducente alla Salomè? Niente del genere. La ballerina Lisaura si affaccia dalla finestra per illuminare la piazzetta con la sua chioma fulva, e fa ondeggiare il suo corpo flessuoso come una diva del cinema. Parla poco, per fortuna; avendo risparmiato sul ballo, qualcosa in più poteva essere speso almeno per una migliore articolazione delle parole. Poco convincenti gli altri, soprattutto il caffettiere Ridolfo, interpretato da Beppe Rosso: avrebbe dovuto mostrare il lato subdolo della sua indole buona e gentile, tipica del lavoratore onesto e instancabile, e, invece, non fa altro che bofonchiare deboli sentenze che cadono nel vuoto. Una nota di merito va indirizzata alla strutturazione dello spazio scenico: il regista ha voluto circoscrivere la rappresentazione in una piccola piazza, la cui forma doveva dare l’idea di uno stomaco in cui, attraverso una sequenza di porte e finestre opportunamente calate dall’alto, entrano “sostanze umane” destinate alla digestione. A noi, uomini del terzo millennio, che non sappiamo resistere al clamore dello scoop, cosa resta da fare, infine, dopo aver assistito a un evento mediatico così scadente? Immergiamo di nuovo il nostro corpo, così facilmente malleabile, in una società fatta di paparazzi, reality show, intercettazioni telefoniche, denaro buttato ed escort “rispettabilissime”. Caro Goldoni, quanto materiale avresti per una nuova, brillante commedia!
Per le immagini si ringrazia il Teatro Stabile di Torino – Fotografie di Paola Mongelli
La bottega del caffè
(una storia di intrighi e veleni)
di Luca Scarlini
da La bottega del caffè di Carlo Goldoni
Regia: Beppe Rosso – Assistente alla regia: Irene Zagrebelsky – Movimenti scenici: Ornella Balestra – Scene: Paolo Baroni – Luci: Cristian Zucaro – Costumi: Laura Dondoli e Sofia Vannini – Direttore di scena: Francesco Mina – Fonico: Paolo Calzavara – Assistente: Alberto Barbi
con Elia Schilton, Beppe Rosso, Riccardo Lombardo, Cinzia Spanò, Paolo Giangrasso, Ornella Balestra
Produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino / ACTI Teatri Indipendenti / Residenza Multidisciplinare di Rivoli con il sostegno del Sistema Teatro Torino
Torino, Teatro Gobetti, dal 7 marzo all’1 aprile 2012