La brioche di Monti: una bugia chiamata Europa

Creato il 29 gennaio 2013 da Albertocapece

Trent’anni fa l’Europa era un’aspirazione possibile, un progetto che sembrava aver qualcosa da dire sia sul piano della collaborazione economica, sia su quello del welfare: era insomma un modello a cui si guardava con attenzione. Oggi la musica è tutt’altra: si ridicolizza il potere di una burocrazia mediocre e asfissiante, si prende atto del fallimento politico e dell’inesistenza di una reale unione sul piano della politica estera, della difesa, della ricerca e insomma in ogni campo e settore in cui le dimensioni contano, mentre appare chiaro che la moneta unica, tetto costruito prima della fondamenta, costituisce una camicia di forza destinata ad avvilire proprio quegli elementi di diversità e di elasticità che invece rappresentano un vantaggio delle dimensioni nazionali rispetto ai vecchi e nuovi colossi.

La strada imboccata all’inizio degli anni ’90 è un vicolo chiuso, un cul de sac dove fa bottino solo il potere finanziario economico e l’ elite politica ad esso collegato, ma che esclude sempre di più la volontà popolare. Se oggi si tenesse un referendum sulla permanenza nell’unione in ognuno dei Paesi che la compongono, la geografia che ne uscirebbe sarebbe devastante: solo Paesi piccoli e marginali accetterebbero di rimanere formando una ghirlanda dal baltico ai balcani con una superficie complessiva corrispondente alla metà dalla sola Italia. E non c’è da stupirsi: ormai l’unione continentale non rappresenta più un motore di sviluppo e di democrazia, ma solo di obbligazioni imposte dai Paesi più forti. La decadenza è stata rapida e drammatica e segnata dallo spartiacque dell’euro: ancora alla fine degli anni ’90 l’Europa si era fatta sentire con l’Austria e le sue tentazioni heideriane, ma oggi tace e si volta dall’altra parte su quello di assai più grave che accade in Ungheria.

Negli ultimi due decenni italiani, dominati dal berlusconismo, molta opinione di sinistra e moderata  ha trovato rifugio nell’idea d’Europa come difesa dal progetto catto-autoritario del tycoon e oasi di una democrazia diversa. Ma gli ultimi anni di crisi hanno fatto emergere l’egoismo dei forti e l’inconsistenza degli apparati, mentre le ultime manovre del Ppe  rendono evidente anche a un cieco l’errore di un simile investimento politico e anche emotivo: al Berlusconi ruspante che comunque non si ha il coraggio di espellere, si è preferito la carne lessa di Monti, ma senza alcun cambiamento né di direzione né di intenzione. E anzi mostrando di voler influire sulle scelte del Paese sia col ricatto finanziario, sia con gli endorsement plateali, sia attraverso manovre sottobanco come la vicenda Mps dimostra chiaramente.

Tuttavia i massacri sociali e costituzionali, l’impoverimento del Paese e la sua perdita di sovranità formale e sostanziale vengono appoggiati e imposti come una sorta di sacrificio in nome di un’Europa che non esiste e che nemmeno si vuole costruire, visto che ci arrende ai quei diktat che ne sono la negazione ideale. Ma a questo proposito, per chiarire il disegno oligarchico che si va condensando, ci viene in soccorso Monti, non con la sua dubbia scienza, bensì con la propria logica da piccolo e insulso burocrate che si dispiega in un libercolo scritto a quattro mani con tale Sylvie Goulard, anch’essa una funzionaria dai piedi alla cima dei capelli prestata alla politica: “La democrazia in Europa”.

Al di là del titolo che testimonia della straordinaria capacità immaginativa dei due autori, vi vengono affermate alcune cose del tutto prive di senso, naturalmente come articoli di fede:  ”E’ tempo di far valere l’idea che l’esercizio congiunto della sovranità, può solo migliorare le nostre perfomances collettive”. Purtroppo però non viene spiegato cosa si intenda per performances collettive, espressione che quindi rimane dentro un vago frasario fatto privo di oggetto e men che meno viene chiarito cosa si intenda per esercizio congiunto della sovranità visto che l’Europa non ha istituzioni che la possano esprimere: sono i singoli stati che fanno proprie le indicazioni europee e danno loro una legittimità essendo i soli titolari di consenso popolare.  Siamo quindi fronte ad un uso improprio del termine sovranità che allude a qualcosa che non  ha a che fare con istituzioni costituzionali e democratiche, ma piuttosto con un potere vago e indeterminato.

Però l’Abelardo e l’Eloisa del regno di Onan, mediocri studenti di liceo alle prese con il tema “cosa pensate dell’Europa”, recitano su un terreno franoso il loro atto di fede mostrandone tutta l’astrattezza e l’inconsistenza:  ”Siamo a tal punto dominati dal riflesso nazionale da sentire più vicini individui ideologicamente contrapposti a noi, ma che vivono nel nostro Paese di origine. L’essenziale è che la democrazia non si ritrovi più a essere sacrificata come accade oggi quando si parla di singoli stati.” Abbiamo innanzitutto la miseria intellettuale del ridurre ogni relazione a individuo e ideologia senza avere nemmeno il sospetto che le comunità esistono, però con l’abbondante stupidità di non accorgersi che se così stessero le cose non avrebbe  senso nemmeno l’Europa come entità sovranazionale fondata sulla mera contiguità territoriale. E poi  quell’ultima frase priva di significato sulla democrazia sacrificata:  la democrazia non ha nulla a che vedere con l’estensione e non si capisce proprio in che senso un Paese possa essere più o meno democratico a seconda che faccia parte di una qualche unione. Perché la democrazia sarebbe sacrificata? Francamente i due sono umanamente ottusi, ma non possono essere cretini fino questo punto. E’ chiaro che vogliono sottintendere un’altra cosa. Che vogliono ingannarci

Riuniamo le fila delle frasi riportate e ci accorgiamo che la bontà di cedere sovranità verso un consesso più ampio che non ha tuttavia le strutture politiche e istituzionali per poterla accoglierla, consiste in un semplice inganno retorico per confondere il fatto che essa dovrebbe essere depistata verso altri poteri che si vogliono sovrani: i grandi complessi economici e il sistema bancario finanziario. E verso il “mercato”. Lo Stato in quanto luogo della democrazia reale , della cittadinanza, della politica e  dei diritti è  il vero obiettivo da superare -in accordo col pensiero unico –  utilizzando la retorica europeista e il presunto non senso dei singoli Stati. Non certo in favore di uno più grande, ma verso un “non stato”.

Si tratta chiaramente della dottrina ufficialmente espressa dai circoli reazionari frequentati dal premier, appena appena mimetizzata dentro la vuota retorica europea che fa da alibi alle forze che lo sostengono e da belletto per l’opinione pubblica. E a certi segretari di partito che adesso stanno cominciando a capire chi ha il coltello dalla parte del manico, non si può perdonare il non aver capito, l”aver fatto finta di non capire, e la pervicace vigliaccheria di non voler capire.


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