Adottando la prospettiva di Friedrich Nietzsche aperta nella seconda delle sue considerazioni inattuali, è fuori discussione che in Sudtirolo la felicità, parliamo di quella pubblica, non è praticamente possibile. Scriveva il filosofo tedesco (Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben): “È sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa felicità: il poter dimenticare o, con espressione più dotta, la capacità di sentire, mentre essa dura, in modo non storico. Chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dell’attimo dimenticando tutte le cose passate, chi non è capace di star ritto su un punto senza vertigine e paura come una dea della vittoria, non saprà mai cos’è la felicità, e ancor peggio, non farà mai alcunché che renda felici gli altri”.
In Sudtirolo l’incapacità di stare ritti sul punto del presente, senza provare vertigine o paura, è talmente diffusa da non consentire varchi sufficienti verso l’ignoto. L’ultimo esempio di quella che può essere a buon diritto considerata una vera patologia della memoria, devastante bulimia del ricordo coltivata con forsennata dedizione, ci è dato dallo spettacolo in programmazione al Teatro Comunale di Bolzano, fino a domani, dedicato agli anni delle bombe, della violenza separatista e della repressione da parte dello Stato.
La critica che sto esprimendo non riguarda in particolare gli aspetti formali della rappresentazione, le scelte del regista in rapporto alla messa in scena del soggetto trattato. A destare un senso di spossatezza, di noia, persino di nausea, è la stessa esigenza di scavare ancora in un terreno perlustrato infinite volte, ruminando su quegli anni ormai fortunatamente lontani come se fosse veramente possibile cavarvi qualcosa di decisivo per la nostra vita attuale. Si obietterà: ma non sarebbe peggio dimenticare, obliare il passato e consegnarci così a un avvenire inconsapevole delle proprie radici? Praticare la memoria dei nostri sbagli non è il modo più efficace per non ripeterli? Certo, la cura dei ricordi è essenziale e può rappresentare un’ottima terapia preventiva. Ma se poi quei ricordi vengono continuamente ripresi, soppesati, rivoltati e quindi ammassati davanti alla porta del futuro, è inevitabile che non riusciremo mai a fare un passo in avanti.
Se c’è una cosa di cui abbiamo urgente bisogno, nella nostra provincia, è ritrovare lo slancio per guardare oltre i nostri confini, interessandoci ad altre storie che non siano sempre e solo la nostra. Ogni tanto una piccola vacanza, in senso non solo spaziale, eviterebbe almeno il rischio di soffocare.
Corriere dell’Alto Adige, 23 febbraio 2016