La buona azione

Da Maddalena_pr

LA MATERNITÀ È UNA MISCELA DI SAPIENZA, LUNGIMIRANZA E PERFIDIA

“Mamma, che cos’è una buona azione?”
Vorrei risponderle: è quella che faccio io ogni giorno, è quando mi occupo di te, ti aiuto a vestirti, sopporto i lamenti. Quando cucino, quando apparecchio, quando sparecchio, quando riordino i tuoi giochi perché ti sgoli: “Ma tutto da sola devo fare???” e allora mi piego a raccogliere con te le cose. Tu due o tre, io almeno quindici. È quando vengo a prenderti a scuola e fa freddo e starei volentieri a casa. Quando vengo e si muore dal caldo e starei, di nuovo, volentieri a casa. È quando sto parlando e m’interrompi e vorrei mandarti a quel paese e invece ti lascio lì dove sei e ti ascolto.

“Una buona azione è fare una cosa speciale, e buona.”
Sarah deve farne almeno 10, entro fine settimana: è il prezzo da pagare per andare alla festicciola della sua amica D.
Non che io faccia pagare ogni svago o occasione di divertimento, ma, diciamo, mi diverto a fare del male un’occasione di bene.
D’altro canto mi ci ha portata lei (non alla festa: a questo): ha infilato una serie talmente estenuante di lamenti, strilli acuti al limite dell’udibile e provocazioni per ogni minima questione, negli ultimi giorni, che, passata l’arma affilata ed efficace del Natale, dei regali e della befana come minaccia, la sola carta che mi era rimasta era la festa di cui sopra: “Sarah, un altro lamento e non vai alla festa.”
“Ma mammaaaa!” con lancio di grida e oggetti misti e, infine, autolancio sul pavimento piastrellato.
“Sarah, smetti subito o ti chiudo in bagno.”
“Tanto l’ho già sentita, questa.”

E mentre ragioni sui suoi flebili 5 anni che d’improvviso sembrano 13, la chiudi in camera tua (giusto per farle capire che hai fantasia e che non tutto è così banalmente prevedibile) e quando la prelevi, ferma e cupa come l’avevi lasciata, sfoderi la punizione promessa: “Non andrai alla festa.” Poi ti allontani perché le grida di ribellione che seguono già le avevi messe in conto, e più di così non puoi fare (ché, poverina, in castigo c’è appena stata).

Solo che poi, ripensando, ti accorgi che così penalizzi anche la sua amica. Però non puoi ritrattare. E allora ti viene l’idea geniale: le farai comprare il diritto alla festa a suon di buone azioni e faccine. Sì, come quelle con cui le avevi insegnato a pisciare nel vasino: ogni buona azione, una faccina sorridente nel riquadro che ho tracciato su un foglio. Ne bastano 10.
E siccome la maternità è una miscela di sapienza, lungimiranza e perfidia, specifichi: “Ogni volta che però ti comporti male, cancello una faccina, e devi farne una nuova. Fino a dieci, capito?”
E difatti di riquadri, per non saper né leggere né scrivere, ne ho fatti venti.

“Ma che cos’è una buona azione?” mi ha chiesto allora. E dunque le ho illustrato innumerevoli esempi.
Capita così che in queste sere non debba occuparmi di apparecchiare la tavola, né di inseguirla più di mezzora per farle mettere il pigiama.

Poi, per rendere la sfida più interessante, propongo: “Se la inventi tu, la buona azione, ti metto 2 faccine.”
Patrick sfodera un paio di idee: “Voglio farlo anch’io!”
Sarah si stringe in un angolo: “Ma a me non viene nessuna idea!”

E dopo poco li ritrovo a litigare: per chi s’inventa una buona azione, per chi ruba le idee, per chi la compie per primo, per chi ne fa di più.

La migliore azione non è fare cose straordinarie, ma sorridere facendo le cose ordinarie. Forse nemmeno le mie sono davvero buone.