Magazine Cultura

La bussola dell’aspirante scrittore: la rilettura

Da Marcofre

Quando si riesce a fissare su carta (analogica o digitale che sia), una storia che sembra filare come un treno a vapore, si precipita in un processo pericoloso. È fatto di esaltazione, scarsa percezione dei propri limiti, certezza di avere conseguito la forma ideale.
Uno degli aspetti che invece è necessario rivalutare, è l’esperienza della rilettura (prima della riscrittura, di cui parlerò magari più avanti).

Per arrivarci, è indispensabile rassegnarsi all’attesa. Allontanarsi dal testo per giorni, e affrontarlo con una voce diversa: estranea, ma sarebbe meglio che fosse nemica.
La rilettura di un testo, non è il processo, importante, di individuazione dei refusi, delle ripetizioni, di tutti gli elementi che scaraventiamo nel meccanismo della storia, appesantendolo.

Si tratta di una disciplina con la quale rendiamo il nostro sguardo diverso, sempre attento agli errori, ma più vigile nel cogliere le debolezze nell’architettura della storia. Nella sua plausibilità.
Nei dialoghi. Nell’efficacia complessiva della storia.

Come abituarsi a una disciplina che ci conduce a osservare quello che ci è costato fatica, quasi fosse il risultato di uno sforzo inutile, e soprattutto frutto di qualcun altro?
Posso solo illustrare quello che io tento di fare.

Quando si scrive, occorre avere come scopo qualcosa di eccezionale, formidabile, che tenda addirittura all’arte. La storia che si scrive non può essere buona, sufficiente, nemmeno ottima: ma appunto, qualcosa di eccezionale. Superfluo scrivere che questa tensione in chi scrive, ci sarà sempre, fino alla fine dei suoi giorni.

Un buon metodo, a parer mio, è avvicinarsi a quanto scritto quando si è stanchi. In una condizione del genere, non si è più se stessi, ma un altro, irritabile, e desideroso di liberarsi dall’incombenza della rilettura. Lo sguardo che scivolerà sulle frasi, sulle pagine, oppure solo sui paragrafi, non potrà essere indulgente, ma intransigente. È ciò di cui c’è bisogno, e nient’altro.

Infatti, basta chiedere ad amici, parenti o conoscenti per ricevere entusiastiche lodi su quanto prodotto; è comprensibile. Siamo sempre a caccia di consenso, e ascoltiamo solo quello. L’ideale sarebbe un editor, ma almeno agli inizi, meglio foraggiare il nostro migliore nemico: noi stessi.

L’obiezione che scaturisce a questo punto è: quando fermarsi? Come distinguere una spietata rilettura, dall’autolesionismo? Mi ripeto per l’ennesima volta: non ci sono regole. Silone avrebbe preferito scrivere e riscrivere quasi all’infinito i suoi romanzi. Io che non sono niente di particolare, arrivo a un punto che non sopporto più il racconto.

È come se la storia fosse in procinto di logorarsi, strapparsi e lacerarsi, e a quel punto o si butta fuori, o si uccide. Quando raggiungo un tale livello di esasperazione, mi è impossibile anche solo tentare una riscrittura o un’ennesima rilettura. Si tratta di un mio limite? Non ne ho idea. Magari riciclo, recupero un dialogo, una scena; ma non riesco più a rimettermi all’opera su quanto prodotto.

 


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog