La caduta dell’impero europeo

Creato il 22 novembre 2013 da Bernardrieux @pierrebarilli1

Iskender Pasha

Probabilmente, una delle cause della caduta dell’Impero Romano fu la convinzione universale che non potesse cadere. Quando una cosa è andata avanti per molto, molto tempo, gli uomini si convincono che essa sia “naturale”. Che l’Impero potesse attraversare momenti di crisi era chiaro, ma si pensava che non potesse morire. E invece morì. L’eredità fu culturale, ma l’eredità, appunto, si riceve dai morti.
Quando si parla di “molto, molto tempo”, bisogna intendersi. Per la persona colta si sta parlando di secoli e millenni, per la persona normale soltanto dell’arco della sua vita, sia pure aggiungendoci qualche decennio di quella dei genitori. Per fare un esempio, una guerra fra due nazioni dell’area euro sembra inconcepibile soltanto perché al momento dell’ultima guerra quegli stessi che hanno più di settant’anni erano bambini piccoli.
Questo fenomeno si verifica anche in campo economico. I nostri contemporanei dell’area euro considerano la prosperità e il “welfare” naturali perché non conoscono altro. E inoltre che, se proprio dovesse scoppiare una crisi tremenda – l’equivalente economico della Seconda Guerra Mondiale – pensano che dopo ci risolleveremmo come si è risollevata la Germania dopo il 1945.  E invece no, non è detto. Un modello di società può essere gravemente sbagliato, come la società sovietica, ed in questo caso è già molto se dura settant’anni. Viceversa, se è lievemente sbagliato, può darsi che duri molto di più, accumulando le conseguenze dell’errore, fino ad un crollo senza ritorno.
Per millenni la Pubblica Amministrazione non è stata molto presente, nella vita quotidiana. Il singolo non si aspettava praticamente niente dalla collettività. Non esisteva la sanità pubblica, e, nel caso, tutto ciò che si poteva sperare era di essere “curati” per pietà in lazzaretti organizzati dalla Chiesa. La società non era soccorrevole. Non solo non assicurava di non essere aggrediti, se si usciva di sera nelle strade buie, ma se c’era uno strapiombo non si preoccupava di metterci una ringhiera: chi non voleva cadere nel burrone faceva bene a stare attento. L’individuo era abbandonato a sé stesso e da ciò derivava una mentalità individualista ed estremamente responsabile: era una questione di sopravvivenza.
Economicamente il popolo trovava gravose tasse e imposte perché era molto povero, ma in totale lo Stato riceveva poco e non assicurava quasi nessun servizio. Il singolo doveva procurarsi di che vivere senza contratti collettivi, senza cassa integrazione, senza alcuna forma di protezione. L’ambiente era simile, per farsene un’idea, a ciò che tutti abbiamo visto cento volte nei film Western. Tolto lo sceriffo efficiente ed eroe.
Nel mondo moderno le provvidenze sociali ci fanno sentire sempre più al sicuro, tanto da sganciare la sopravvivenza dallo sforzo per sopravvivere: essa è sentita come un diritto per il semplice fatto di essere dei cittadini. La mentalità è cambiata. Lo Stato - anche se a volte odiato perché invasivo - è sentito responsabile di tutto. Recentemente perfino dei guasti delle alluvioni. Oggi l’individuo si considera un creditore dei politici: questi sono incaricati di occuparsi del suo reddito – eventualmente ottenuto perfino lavorando – della sua salute, della sua casa, della sua istruzione, della sua sicurezza, di tutto. E con ciò si torna al quesito iniziale: questo modello è “naturale”?
In realtà, attualmente sembra che esso stia mostrando la corda. E se così fosse, la crisi non si risolverebbe come quella del ’29, con una semplice pausa di qualche anno nel progresso economico. Il piccolo errore che si ipotizzava, nel nostro modello, è così riassumibile: nella sua azione, lo Stato è meno efficiente del privato e se fa molto costa moltissimo. Ciò comporta un enorme peso fiscale con scarsi risultati complessivi. Ciò malgrado si ha un’irresistibile tendenza al deficit che in Italia – caso esemplare – porta a un debito pubblico astronomico. Col rischio che la bolla scoppi, azzerando la storia economica.
Da questo modello di società potremmo insomma uscire con le pive nel sacco, ritrovando virtù dimenticate. Ci accorgeremo che la vita ci è data senza la garanzia “soddisfatti o rimborsati”; che ognuno deve essere responsabile di sé stesso; che nessun pasto è gratis; che prima di parlare di diritti bisogna parlare di doveri; che è bene che lo Stato torni a farsi i pochi affari suoi.
Nessuno ci ha dato il diritto “naturale” di vivere tanto meglio che nel Medio Evo. Se vogliamo vivere meglio di allora, la società deve tornare ad essere adulta.
La vita è forse un regalo, il seguito no.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it21 novembre 2013http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane

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