Tarabbia descrive un mondo con efficacia e leggerezza un mondo pernicioso e strano, che in qualche maniera assomiglia al nostro. Il romanzo parte in quarta, cavalca insieme ad Horatio e alla sua tristezza dopo la morte della moglie e alla sua passione per le stelle. Ogni pagina lancia dei piccoli segnali, sulla guerra, sull’arte della calligrafia, sui codici di comunicazione, su quello che succederà dopo. La domanda “SUCCEDERÀ?” è una domanda retorica, perché sappiamo che succederà, basta solo aspettare quando.
E quando succede, il romanzo, sfortunatamente, si incanta. La tensione si srotola e l’estetica si perde. Non che diventi brutto, ma rispetto alla prima estatica parte, la seconda e la sua finale conclusione non sono all’altezza. Colpa di alcune scelte non proprio comprensibili dell’autore – il farlo diventare un romanzo corale, che spezza l’armonia della prima parte, o i riferimenti un po’ scontati e comunque decontestualizzati alla nostra epoca, come il rimando ai reality show e alla tv spazzatura – che tolgono quell’aura misteriosa e magnetica che il romanzo possedeva in prima battuta.
Nonostante questo, La calligrafia come arte della guerra è un libro che merita la lettura, anche perché è impossibile trovare qualcosa di simile in giro. Ed essendo un’opera prima, sappiamo che l’autore riserverà altre buone sorprese nel futuro – vedi il successivo Il demone di Beslan.
Azzurra Scattarella
Andrea Tarabbia, La calligrafia come arte della guerra, Transeuropa, 2010, € 16.50