- Capo: “Ditemi un poco: di dove discende la società?”
- Nuovo venuto: “Spagna, Napoli, Sicilia”.
- Capo: “E come ebbe origine?”
- Nuovo venuto: “Tre cavalieri, uno napoletano e uno siciliano giocavano a zecchinetto fra loro, mentre i loro scudieri facevano i servizi e la guardia; ad un tratto mentre lo spagnolo cacciava di tasca l’ultima posta, che tutto aveva perduto, sottrasse del danaro al vincitore in ragione del venti per cento di quello che aveva vinto, dicendo: questo mi prendo come mia spettanza che per diritto e ragione e diritto di camorra mi spetta e son buono a prendermelo, qui, in ogni altro luogo ove ritrovo, e con la ragione e con la malandrineria”.
- Capo: “E come finì?”
- Nuovo venuto: “Finì che i tre cavalieri si trovarono d’accordo fra di loro e fondarono la società dei camorristi, facendo reclute i loro scudieri”.
Questa è la storia di capintesta, guappi, mammasantissima e giovanotti onorati e di uno Stato maggiore che si venne a costituire nel 1820, la Bella Società Riformata. Sono i protagonisti della camorra prima della camorra, quando un sodalizio perfetto tra comandanti supremi e capiparanza gestiva tangenti, estorsioni sui dodici quartieri di napoli e su ogni attività lecita e non che la giustizia statale non era in grado di portare a termine. Un controllo che taglieggiava anche i detenuti nelle carceri e nei domicili coatti, tenuti a pagare “la tassa dell’olio”.
Capintesta, capintriti, contaiuoli e capiparanza, dai capi supremi ai capi quartieri, dai tesorieri ai capigruppo: la bella società riformata, all’apice la società maggiore, e i comandi supremi, dall’altra la società minore con i suoi guappi e picciotti di sgarro, dove la ferocia è l’arma più importante per acquisire benemerenze ed accedere alla società maggiore. Il “frieno”, uno statuto preciso, infallibile e completo e da rispettare, pervenutoci grazie alle confessioni dei carcerari, con suoi tribunali articolati in Mamma e Gran mamma e le ammende che andavano dallo sfregio all’esecuzione capitale.
A quanto pare, però, l’indole al compromesso, la vera e propria camorrìa, venne con il tempo e con gli spagnoli. Siamo nel 1400 e a Napoli filava tutto liscio se non per alcuni “strani individui chiamati Compagnoni che vivendo di ozio e prevaricazioni”… prestavano servizio presso i signorotti locali, alla stessa stregua dei Bravi manzoniani. Parallelamente, invece, in Spagna esisteva già dal 1417 “La confraternita della Guarduna”, la società segreta specializzata nell’organizzare delitti per conto di terzi e nel percepire tangenti su ogni sorta di attività. I Bravi scagnozzi, i “Guapos”, che in gergo erano detti “Punteadores” (pugnalatori), i “Floreadores” (assaltatori), ex ergastolani fuggiti dai bagni penali di Siviglia, Malaga e Metilla, i “Fecelles”(i soffiatori), anziani nobili del Santo Uffizio che fornivano notizie sul colpo da eseguire. Giovani leve, i chivatos e coberteras, che a seguir di un tirocinio formativo criminale potevano essere promossi postulenates e dopo due anni guapos. Non mancano le donne, le “sirenas”, che con il loro fascino attiravano le vittime.
A capo di tutto l’Hermano mayor, che impartiva gli ordini ai capi di provincia, i capatazes, e mantenva (ottimi) rapporti con guardie, magistrati, scrivani e vescovi inquisitori. “Dagli spagnoli i napoletani contrassero l’abitudine al turpiloquio, alla bestemmia, alla pratiche superstiziose, alla paganizzazione del cattolicesimo, alla vendicatività, alla magniloquenza, al tradimento, alla spudoratezza, alla litigiosità, alla sporcizia e all’accattonaggio. Tutto quanto di brutto è originato dalla lunga dimestichezza con gli spagnoli.” Così Giovanni Pontano nel suo dialogo Antonius ci da un maggiore spaccato sui costumi dei napoletani, passati sotto il giogo della dominazione spagnola nel 1504. E con lei andò conformandosi il cambiamento del popolo napoletano.
Due le leggende che girano intorno la fondazione della camorra:
– Raimondo Gamur, avventuriero spagnolo fuggito da Saragozza, immigrato, arrestato e rinchiuso nel carcere di Castel Capuano, stringe amicizia con cinque napoletani suoi compagni di cella e racconterà loro l’organizzazione della malavita spagnola. Gamur diede loro spunto e fervore per fondare, una volta usciti, la camorra (1654).
– Carcere di Favignana (fine ‘800). Un questionario per riconoscersi camorristi; vecchi carcerieri lo sottoponevano ai nuovi arrivati, si accertava così nelle risposte l’origine della setta; uno spagnolo che prelevava la sua percentuale sul gioco d’azzardo e con l’arroganza e la presunzione così andava a finire:
“Questo mi prendo come mia spettanza che per diritto e ragione e diritto di camorra mi spetta e son buono a prendermelo… e con la ragione e con la malandrineria”. L’inizio e il resto lo conosciamo già.
Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.
Informazioni e citazioni bibliografiche da:
“Storia della Camorra”, Vittorio Paliotti, Newton & Compton Editori ISBN 88-541-0070-6
“Malavita, gergo, camorra e costumi degli affiliati”, Emanuele Mirabella, Napoli 1882