Giulio II (1443- 1513), colui che passò alla storia come “Papa terribile”, si propose di riportare Roma agli antichi splendori. Così chiamò Michelangelo e gli commissionò il lavoro della Cappella Sistina.
In realtà, l’intento era quello di dare lustro al proprio nome, oscurando tutto quello che aveva fatto prima di lui un altro Papa, Alessandro VI Borgia, sul trono pontificio dal 1492 fino alla morte avvenuta nel 1503. Fra questi due papi vi fu sempre una grande rivalità, e la Cappella Sistina rappresentava un’impresa grandiosa che avrebbe dovuto far emergere la figura di Giulio II una volta per tutte.
Originariamente, la Cappella Sistina era conosciuta come la Cappella Maggiore, o Grande Cappella. Oggi continua a portare il nome di Sisto IV, il Papa che si impegnò a restaurarla tra il 1477 e il 1480. L’impresa di Michelangelo ebbe inizio nel luglio 1508 e fu un lavoro lungo e complesso. Soprattutto perché egli era uno scultore e non aveva mai provato la tecnica dell’affresco.
Da quel tentativo folle e disperato scaturì una delle più grandi meraviglie di Città del Vaticano, ma non solo, del mondo e dell’intera storia dell’arte. Si tratta della volta sotto la quale si svolge il Conclave e l’elezione del Papa.
Michelangelo si trovò a dover affrescare più di 5.000 metri quadrati, poiché la volta della Cappella Sistina è lunga 40 metri e larga 13 metri.
In seguito si trovano le lunette in cui sono raffigurati gli antenati di Gesù e le storie della tragedia del popolo ebraico. Figure più piccole di putti e nudi sono seminate qua e là. In totale, sul soffitto, sono dipinte più di 300 figure. La scena del famoso Giudizio Universale vero e proprio è stata realizzata da Michelangelo solo più tardi rispetto alla volta, quando un altro Papa, Clemente VII, lo incaricò nel 1533 di dipingerla sulla parete dell’altare.
I lavori della volta dureranno 4 anni, dal luglio 1508 ad ottobre 1512. Michelangelo procedeva piano, dovendo imparare tecniche a lui sconosciute fino a quel momento. Trattandosi di una superficie curva, anche le regole della prospettiva erano differenti. I lavori subirono varie interruzioni, dovute ai motivi più disparati: dalla muffa creatasi a causa dell’umidità, alle condizioni di salute del committente Giulio II che si ammalò gravemente.
A qualche assistente di talento poteva di tanto in tanto essere affidato il compito di affrescare un pezzo di cielo, oppure una figura marginale; ma l’immagine di un Michelangelo che lavora solitario all’interno della Cappella Sistina è un falso. Egli fu accorto nell’avvalersi dell’aiuto degli assistenti. Li assumeva e li licenziava spesso, così da farli avvicendare. Nessuno quindi avrebbe mai potuto rivendicare il merito di aver messo mano all’opera.
Erano semplici “comparse”. La leggenda parla di un rapporto burrascoso fra Michelangelo e Papa Giulio II, fatto di continui diverbi. Sembra che il Pontefice avesse un carattere litigioso, e che volesse sempre mettere bocca su tutto. Un atteggiamento che faceva a dir poco scintille, se rapportato al genio orgoglioso di Michelangelo.
Nel Giudizio Universale, postumo, finalmente Michelangelo ha potuto “togliersi qualche sassolino” immortalando chi lo aveva criticato. Minosse con orecchie d’asino e un serpente che gli morde i genitali per Biagio da Cesena, cerimoniere papale che, sprezzante, aveva giudicato la Cappella Sistina, forse a causa dei tanti nudi, un’opera “degna d’osteria”.
E ritrasse se stesso nella pelle scuoiata viva retta in mano da San Bartolomeo col volto di Pietro l’Aretino, il quale bollò pubblicamente l’opera come “volgare”. Proprio lui? Quando ammiriamo questo capolavoro, pensiamo che sia un vero e proprio inno alla perfezione e alla bellezza che l’uomo può raggiungere solo attraverso l’arte. Raramente immaginiamo l’odissea che Michelangelo ha dovuto vivere per poterlo realizzare.
Written by Cristina Biolcati