La carne della consolazione

Creato il 09 febbraio 2013 da Casarrubea

copertina del libro di poesie di Gabriella Modica

E’ uscito, nelle scorse settimane, per i tipi di Marco Saya, “Futuro non locale”,  un inaspettato libro di poesie di Gabriella Modica, giovane poetessa, che ha fatto del suo impegno civile un’attività che si muove tra intenti didattici, pratica della manualità e dell’artigianato, ricorso alla lirica e alla poesia. Una personalità non comune, vista la varietà dei campi di interessi di questa intellettuale di Palermo che, a differenza di molte altre palermitane, abituate alla vita salottiera e un pò ( o molto) radical chic, preferisce cimentarsi con il suo animo. Cioè con il suo sentire il mondo che la circonda. Non paragonabile alla lunga casistica dei letterati che vantano più o meno consolidate scelte letterarie, ma che poi si perdono nei meandri del potere della carta stampata (o che per esso vivono), o tra le presunzioni di trovarsi, chissà perchè, al centro dell’universo. Intellettuali che si intristiscono o si dànno un gran da fare per poi trovarsi isole nel deserto, senza parola e senza messaggio. Dannatamente pessimisti in tutto.

Al contrario di simili figure, ipercritiche e con un futuro accorciato da una vista miope, Gabriella Modica ci proietta, con queste sue liriche, su un versante stringato di riflessione e di percezioni che finiscono, per la loro estrema sinteticità, di fornici le chiavi di lettura della condizione intima di una donna siciliana, con il suo vissuto e le sue ansie, non sempre comuni alla generalità delle donne di quest’isola tanto tormentata, quanto ricca di prospettive e di speranze. Ed è, in fondo, l’invisibile, l’oggetto dell’interesse. Perchè qui sta l’essenza delle cose. In questo andare al dunque, in questo suo sentire o richiamarsi ad una filosofia quasi spinoziana ed eretica, verso la scoperta del mondo di unicità e di rarefazione delle cose, o di una spiritualità ovunque presente che si manifesti anche contro ogni sorta di abitudinarismo. Qui sta il suggerimento che ci dà l’autrice. Non è quello di correre lungo la banale quotidianità, bensì la spinta a procedere in senso antiorario, quasi anticorrente.

Inevitabilmente l’autrice non poteva non incontrarsi con la dimensione del ricercatore, e cioè della storia che è proprio quella di “chi cerca di capire/per cambiare”.  Così giungono puntuali le sferzate contro i social network, il loro essere illusori e virtuali, luoghi in cui  si ripetono  “A cascate/ frasi d’altri/ in /maschera e profusione”. E’, mi pare, questa, la ricerca dell’autenticità, negata dagli egoismi e dalle varie forme di violenza che esistono al mondo. Poetica che riscontriamo nel Dolci giovanile, delle prime raccolte antologiche degli anni ’50, e poi maturata alla luce dell’esperienza nel vivo della lotta quotidiana per il riscatto da ogni servitù.  In ciò “Piangere solo a chi ha visto/il tuo pianto nascosto/ e t’ha sorriso/ nascondendoti il suo pianto”, pare che abbia un senso. Perché “è rara la carne della consolazione/che nutre come un tronco d’albero”. E chi vuole capire, capisca.

Giuseppe Casarrubea


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