La carovana del sale di Elena Dak: come descrivere il silenzio del deserto

Creato il 16 maggio 2014 da Luoghidautoreblog

«L’Africa ci faceva dono di cieli meravigliosi di epico respiro, cieli mobili che ogni giorno ci avvolgevano in abbracci roventi e ogni notte regalavano pioggia di stelle. I miei brividi trovarono posto dentro scenari di rara bellezza. Il deserto si lasciava attraversare quieto e arrendevole».

«Mi chiedevo come avrei potuto raccontare l’intensità di ciò che avevo vissuto, con quali parole o quali silenzi», così scrive Elena Dak nella parte finale del suo emozionante racconto La carovana del sale, pubblicato da Corbaccio. L’impresa realizzata dall’autrice, da anni guida per l’operatore turistico Kel 12 con alle spalle numerosi viaggi in Nord Africa, Medio Oriente e Asia Centrale, è un’avventura che ha richiesto coraggio, preparazione e volontà a cui lei ha aggiunto le sue doti di acuta osservatrice ed inguaribile entusiasta: se fisicamente si può infatti tentare di arrivare preparati, sono l’innato saper godere dell’incontro con l’altro ed il saper cogliere le sfumature del non detto che permettono di vivere a pieno un “viaggio” per poi poterlo descrivere in maniera altrettanto coinvolgente;

questo è ciò che accade leggendo La carovana del sale, il libro di Elena Dak in cui si racconta il viaggio che stagionalmente carovane di uomini e cammelli effettuano per raggiungere le saline che si trovano oltre il deserto, un viaggio a cui l’autrice partecipò nel 2005 aggregandosi ad una carovana. Senza compiere nemmeno uno dei tanti passi di Elena, noi lettori respiriamo l’aria del deserto, immaginiamo l’atmosfera serale intorno al fuoco e vediamo scorrere dinnanzi ai nostri occhi  le immagini del magico rito del te: «In attesa della cena che Ghabdou si era messo a preparare, bevemmo dell’eghale e Issoufa cominciò a fare il tè. La bellezza si fece rito attraverso i ritmi di una gestualità lenta; un odore dolce evaporò dalle braci, ed ero così rapita al punto che persi alcuni passaggi. Resta indelebile l’immagine del braciere, appena rischiarato dai carboni ardenti, su cui borbotta una teiera, nel buio. […] Il silenzio era così pieno che la sua eco pareva assordarmi. Non potevo pensare di relegare già nell’oblio del sonno la bellezza delle recenti ore appena vissute». Procedendo con la lettura, assistiamo affascinati  alle scene della preghiera notturna; l’autrice utilizza più di una volta l’aggettivo “biblico” ed in effetti è il termine che più riesce a sintetizzare con grande efficacia il senso esotico e spirituale ad un tempo, di momenti molto intensi come questo che vi proponiamo qui di seguito: «Il fuoco era già acceso e spandeva sugli alberi un intermittente bagliore arancione come dentro la parete di una caverna. Le fiamme erano a destra della scena: sulla sinistra, in piedi, il capo avvolto nel turbante chiaro, Mahmoud pregava. L’aria era immobile e il buio ancora fitto. Io colta dal dubbio se stessi sognando o vivendo, guardai quella scena biblica a palpebre immobili e trattenendo il respiro». Suggestive immagini di una costante parentesi della vita di questi uomini del deserto avvezzi all’asprezza e alle difficoltà da affrontare di giorno e alla pacatezza del ristoro serale, disposti ad accogliere nel loro gruppo un’estranea, per giunta donna; e accade che qualcuno di loro, affidandosi agli occhi colmi di meraviglia e stupore di Elena, riviva questa esperienza, che si ripete automaticamente negli anni, con rinnovata passione riscoprendo la particolarità dell’impresa e riconoscendo una dignità nuova e speciale al duro viaggio che da generazioni coinvolge i tuareg, per imparare a riscoprire i propri luoghi con lo sguardo entusiasta di chi li vive da forestiero; è la stessa autrice a spiegarlo: «Molte delle serate dall’inizio del viaggio si erano concluse così: io e Ihalen ciascuno nel proprio sacco a pelo divisi da una fila di sale o paglia a chiacchierare a bassa voce, mentre io scrivevo al lume di una torcia e lui sminuzzava tabacco e rollava sigarette. La cosa straordinaria è che Ihalen partecipava al mio stupore e alla mia ammirazione con altrettanto stupore, come se lui non fosse un tuareg. Era vero che la nostra famiglia allargata era davvero speciale, ma era pur vero che Ihalen si era allontanato dallo stile di vita di suo padre al punto da sorprendersi di alcune cose». Accade anche che la stessa autrice sulla via del ritorno si stupisca ancora della fragile e imponente bellezza del deserto, le dune di sabbia sembrano tracciare nuovi paesaggi rendendo sempre nuova ed entusiasmante un’esperienza che potrebbe apparire ripetitiva: proprio questo è un altro pregio della scrittura di Elena Dak, l’originalità delle sensazioni e delle descrizioni nonostante i rituali e la quotidianità di questi spostamenti siano apparentemente sempre uguali: «Chissà se ad altri succede di vedere una cosa o un luogo noti con lo sguardo nuovo, come se non l’avessero mai visto. Era come se stessi vedendo il deserto per la prima volta. Eravamo in marcia tutti vicini, tutti sui dromedari. Alcuni chiacchieravano, molti stavano in silenzio. Mi sentii leggera, pervasa da uno straordinario benessere. Il deserto era la quintessenza di ogni immaginabile bellezza, e noi eravamo in armonia con esso da farci luna, sabbia, ombra».

I viaggiatori che hanno Elena Dak come guida nei loro avventurosi viaggi godono di una compagnia davvero speciale, noi intanto ci dedicheremo presto alla lettura di un’altra sua pubblicazione, il libro Sana’a e la Notte, in cui l’autrice descrive l’incanto di questa città yemenita.

Per maggiori informazioni suggeriamo di visitare il sito http://www.elenadak.it/

Le immagini presenti nell’articolo sono tratte dal sito http://www.elenadak.it


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