Una proposta così antica da sembrare nuova, e così semplice da sembrare rivoluzionaria. Una proposta da accogliere e rilanciare.
Carta per il rinascimento della campagna
(di Wendell Berry, Giannozzo Pucci, Vandana Shiva, Maurizio Pallante)
PRINCIPI. L’agricoltura con le attività forestali è indispensabile alla sopravvivenza umana.
La campagna provvede a tutti i bisogni fondamentali di acqua, aria, biodiversità, cibo, energia, fibre (cotone, lana, lino ecc) e a tutti i materiali da costruzione. La terra è sacra, non l’abbiamo fatta noi. È la dimora naturale di ogni essere vivente. Sulla terra si fonda l’identità delle comunità umane se non è alienata, frammentata e non è basata su mere considerazioni utilitaristiche. Il suolo su cui camminiamo è mescolata la polvere dei nostri antenati; i nostri corpi, morendo, arricchiscono la terra dimostrando che essa non ci appartiene ma noi apparteniamo alla terra. La campagna è una comunità vivente di innumerevoli organismi e come un corpo deve essere nutrita, curata, fatta riposare. Si parla con lei attraverso il proprio corpo. La campagna è essenziale per rigenerare la società umana, perciò occorre arricchire le campagne, riscoprendone la sacralità.
Tutte le civiltà si basano sull’agricoltura, compresa quella industriale, ma nessuna è stata così distruttiva per la natura come la nostra che è perciò la più fragile di tutte.
Le tecnologie industriali applicate alla terra — prodotti chimici di sintesi come diserbanti, concimi chimici, anticrittogamici, macchine a energia fossile, sementi geneticamente manipolate, monocolture di merci per il mercato internazionale, che modificano il paesaggio per renderlo funzionale alle macchine — non sono agricoltura ma attività industriali, e non devono godere di privilegi per “pubblico interesse”.
Il furto anche di una sola mela è un reato punito penalmente, ma il saccheggio sistematico dell’eredità genetica e l’inquinamento dei cicli alimentari con conseguenze immense sulle popolazioni, non è considerato illegale dai governi, eppure viola i diritti fondamentali di tutti i popoli. Non c’è profitto derivante da questa distruzione che possa giustificarla.
La terra non è e non sarà mai una merce. È un bene comune. Il suo destino naturale è l’uso e il godimento comune.
Comune è l’aria che gli alberi e i venti rendono pura, comune è l’acqua che le radici delle piante, le rocce, le cascate rendono potabile e salutare come nessun impianto tecnologico può fare, comune è l’humus che si forma sotto gli alberi e nei campi ben coltivati perché arricchisce la catena alimentare, la quale è comune anch’essa insieme al polline dei fiori e a tutto ciò che serve a far vivere gli insetti, gli uccelli, gli animali e le piante selvatiche, delle quali comuni sono i semi spontanei così come quelli delle piante coltivate, selezionate dall’opera di tanti contadini e comunità indigene anonime che da sempre hanno lasciato in eredità gratuita a tutte le generazioni i risultati delle loro fatiche e scoperte. Comune infine è la terra per le popolazioni tribali. Ma anche nelle società contadine in cui è ben instaurata la proprietà privata, restano forme di usi civici e comuni sono le strade vicinali, la rete dei fossi, le sponde dei fiumi e i ruscelli, l’uso delle sorgenti liberamente aperto alla sete dei vicini e dei viandanti. [continua qui]