13 dicembre 2012 Lascia un commento
I viaggi interstellari sono veloci, velocissimi, immediati ma certe zone dello spazio richiedono dei salti, delle stazioni nelle quali fermarsi e ripartire e per questa ragione la Terra diventa importante, necessaria per esplorare nuove zone del cosmo. E’ in questo modo che Enoch Wallace diventa il guardiano della stazione terrestre, lui, uomo schivo e sfortunato che proprio nel momento in cui perde tutto ed e’ pronto ad andarsene, riceve l’offerta che non puo’ rifiutare.
Da oltre un secolo egli e’ il custode della stazione perche’ li’ dentro non invecchia e il suo tempo e’ dedicato alla conoscenza, allo studio delle altre razze e delle loro abitudini nonche’ osservare con orrore il proprio mondo che sta per cadere nel baratro di un nuovo e questa volta definitivo, conflitto mondiale.
Romanzo pubblicato nel 1963 e immerso nel terrore da guerra fredda che in quel periodo transitava al suo zenith e Simak prende in se’ tutta la paura e la fa propria, la respira sino in fondo e quell’urlo nero, nero come le finestre in ogni senso impenetrabili della casa, ce la restituisce purificato, lavato nell’innocenza di una speranza piu’ grande e potente, tautologicamente intrinseca nel tessuto stesso del cosmo che al contrario di quanto la fisica lasci supporre, e’ capace di rigettare il caos e fiorire nell’armonia di una diversita’ senza contrasto.
Ad un certo punto la storia si trasforma in una preghiera che oggi sappiamo almeno in parte e forse in apparenza esaudita ma i cui echi lontani, risvegliano antiche paure che annullano anni di relativa sicurezza.
Simak lo conosciamo e conosciamo la sua prosa delicata che non si smentisce ma si esalta in questo che e’ tra i suoi romanzi piu’ celebri e celebrati. E’ fortissima la poetica di un autore che non trasforma mai il sogno in incubo e che anzi sa essere tra i grandi sostenitori e paladini dello spirito umano, umanita’ che a suo dire, ci sopravvivera’ ed e’ cosi’ dolce crederci…