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La casa di Francesco Petrarca: un suggestivo museo ad Arquà in provincia di Padova

Creato il 15 aprile 2015 da Alessiamocci

“Mi sono costruito sui colli Euganei una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti” .

Sono le parole che il grande poeta Francesco Petrarca – nato ad Arezzo nel 1304 e morto ad Arquà in provincia di Padova nel 1374 – scrive nel 1371 in una lettera all’amico Matteo Longo. Ormai stanco del continuo peregrinare, vecchio e malandato, egli si rifugia in una casa sui Colli Euganei, vicino Padova, e la elegge a domicilio per trascorrere gli ultimi anni. Qui vive circondato da amici vecchi  e nuovi e dai familiari, fra cui la figlia Francesca, il genero Francescuolo da Brossano e la nipotina Elettra.

In questa abitazione Petrarca continua a coltivare gli studi e, nella notte fra il 18 e il 19 luglio 1374, muore nel suo studio, col capo chino sui libri.

Ebbene, mi sono recata a visitare questa casa, divenuta un museo e aperta ai visitatori. È una bella domenica di aprile, il sole spende e il piccolo paese arroccato sul colle ha “voglia” di primavera. Pullula di turisti e di famiglie che, dai paesi limitrofi, si sono recati a visitare le bancarelle, ricche di prodotti tipici: miele e vino dei colli.

Nonostante il traffico che affligge il piccolo borgo, in cui vi sono stradine irte e strette, dove due auto insieme non passano, e il vociare della gente in festa, la cosa che colpisce è la pace che ispirano questi luoghi. Nel piccolo giardino ricco di siepi, antistante la casa, si avverte una calma rassicurante. L’effetto è come quando si entra in quei luoghi che stimolano la meditazione: pare un monastero, senza esserlo.

Petrarca ha fatto riunire i due corpi di fabbrica preesistenti, adibendo per sé e la famiglia il piano sopraelevato dell’edificio sito a sinistra, rispetto al portone d’ingresso, e riservando alla servitù e ai servizi l’edificio di destra. Sul davanti c’è il giardino; sul retro il “brolo”, ovvero l’orto. Alla cura delle piante Petrarca ha dedicato molta passione, anche se le fonti riportano che non sempre ha avuto successo. In questo piccolo orto, egli ha piantato il lauro e numerose erbe officinali.

Dopo la morte del poeta si sono succeduti diversi proprietari, ma la casa non ha subito sostanziali cambiamenti, proprio nel rispetto del suo ricordo. Alla metà del Cinquecento il nuovo proprietario Paolo Valdezocco ha predisposto alcune modifiche nella distribuzione interna dei locali, e ha fatto aggiungere la loggetta e la scala esterna dalla quale oggi si accede al primo piano. Ha fatto dipingere alle pareti gli affreschi che ancora si possono ammirare, ispirati alle opere del Petrarca.

Sono seguiti altri passaggi di proprietà, ma la casa ha mantenuto in sostanza la sistemazione datale nel Cinquecento e si è trasformata in museo delle memorie del Petrarca. L’ultimo proprietario, il cardinale Pietro Silvestri, nel 1875 ha lasciato la casa in eredità al Comune di Padova, che, il 6 febbraio 1876, ne è entrato ufficialmente in possesso.

Al piano terra, in una piccola stanza posta sulla destra viene proiettato un filmato sulla vita del Petrarca, e le persone si accalcano curiose. Nel vano di mezzo, fra guide turistiche e antichi cimeli, vicino all’arco a sesto acuto che si affaccia sull’orto, sta un’imponente statua di Francesco Petrarca, che lascia allibiti, perché i libri di scuola lo raffigurano in maniera diversa. Certo, in questa casa, che si pensa sia stata donata al Petrarca da Francesco I da Carrara, signore di Padova e amico del poeta, e che egli ha deciso di restaurare in base alle sue esigenze, ha vissuto un Francesco Petrarca anziano. Sarà per quello che il corpo sembra imponente, con il viso gonfio. Insomma, se lo ricordate longilineo e col volto affilato, dimenticatevi quella visione.

Nella stanza di sinistra, di fronte alla saletta del film, in una nicchia vi è la “gatta” di Francesco Petrarca. Ebbene sì, molti ricordano questa casa-museo proprio per questo particolare. In una fastosa cornice barocca vigila tuttora la fedele gatta del poeta, da lui tanto amata e ritratta in un affresco della Sala dei Giganti di Padova.

La leggenda vuole che, mentre Petrarca studiava, la gatta si acciambellasse ai suoi piedi, e proteggesse i libri dalle incursioni dei topi. Alla morte, questa gatta “salvatrice” di cultura,  è stata imbalsamata, e posta nella Stanza di Venere, al primo piano, in quella che doveva essere la camera da letto del poeta. Dalla sovrapporta dell’ingresso, ella vigilava indisturbata. Il trasferimento al piano terra è avvenuto negli anni Settanta del Novecento.

Nonostante possa essere un’invenzione ideata dai posteri, è bello pensare che la leggenda sia vera, e che quella sia proprio la gatta domestica di Francesco Petrarca. Anche lui, come Hemingway e Bukowski, grande estimatore di questi felini.

Una volta ritornati all’esterno, una scala sulla destra porta al primo piano, ovvero all’interno dell’abitazione vera e propria. Fra fregi decorati, affreschi, statue e reliquie – vi è anche un piccolo santuario in cui è contenuta una costola del poeta -, due sono le cose che colpiscono. Nella Stanza delle Visioni troneggia un ritratto di Petrarca, che toglie ogni dubbio.

Era proprio un omone grande e grosso, con tanto di doppio mento. E in un locale angusto, l’unico chiuso da un vetro e nel quale non si può accedere, si vuole fosse ubicato lo studiolo del poeta, luogo di lavoro e meditazione dove egli conservava i preziosi libri. Le pareti mostrano ancora tracce della decorazione trecentesca. Qui è conservata la seggiola e l’armadio-libreria che sarebbero stati utilizzati dallo stesso Petrarca. Fra queste mura, in una notte d’estate del 1374, egli è morto.

Il suggestivo spettacolo che si vede affacciandosi dalle antiche finestre, merita da solo la visita.

Arquà Petrarca è un borgo che trasuda storia, cultura ed antichità. Un’ottima meta per gite fuori porta e per trascorrere una domenica alla scoperta di notizie peculiari su quel grande poeta da cui ha preso il nome.

 

Written and Photo by Cristina Biolcati

 


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