La parte tedesca della mia famiglia è in realtà originaria di Berlino e all’epoca della guerra abitavano tutti nella zona est della città. Subito dopo la guerra, mio nonno Jakob ha giustamente pensato che fosse il caso di emigrare e di spostarsi verso Monaco. Andò avanti da solo, mentre il resto della famiglia attendeva a Berlino.
Ora poiché i tempi erano quello che erano e di soldi ce n’erano pochini, il nonno pensò bene anche che fosse il caso di costruirsi la nuova casa con le sue mani e così fece. Prima si costruì una piccola casetta veramente essenziale, in pietra, con cucina e camera da letto, senza neanche il bagno, nella quale abitare per il tempo necessario affinchè la casa vera e propria, la casa di Monaco, fosse pronta. Capirete che per costruire da soli o quasi un casa con due piani, una cantina e un solaio, ci voglia il suo tempo e infatti ci vollero anni. Nel frattempo lui, insieme a uno dei suoi 3 figli, oggi scomparso, viveva nella casetta, che ancora oggi si trova in giardino, così com’era. Per mettere insieme la casa, nonno Jakob ha dovuto usare materiali recuperati un po’ da dovunque. Le porte, per esempio, prese da chissa dove, sono tutte una diversa dall’altra e sono state dipinte di bianco per renderle simili tra loro. Il pavimento, invece, è stato fatto usando la ghiaia della strada per formarne la base.
La casa di Monaco risponde ai rigidi criteri architettonici di quando fu costruita e in parte di oggi: ha il tetto super a punta, come gran parte delle abitazioni qui (come quella nella foto), suppongo per permettere alla neve d’inverno di scivolare meglio via dal tetto. È inoltre circondata da un giardino enorme e stupendo, ma grande il doppio della sua superficie di base, sempre per via di queste leggi. E ha un’altra particolarità: è leggermente storta rispetto alle altre case del quartiere, perché pare che fosse obbligatorio, all’epoca, che l’ultima casa in fondo alla strada fosse visibile dall’inizio della strada stessa: doveva insomma spiccare rispetto alle altre, tutte allineate fra loro.
Quando la casa era a buon punto mia nonna e i due figli rimanenti, mio padre e zio Fritz, si trasferirono anche loro a Monaco, raggiungendo il nonno. E intanto lui continuava a costruire, perché non era proprio tutto finito e le stanze erano ancora incomplete. Ci vollero altri anni affinchè il nido fosse davvero terminato e accogliente. Oggi la casa appare bella, ma anche strana: ha un solo bagno, ma cinque camere da letto – si usava così – mentre ben due stanze e l’intero corridoio su entrambi i piani non hanno il termosifone (ma ne faremo installare a breve, giusto per non ibernarci d’inverno). In compenso c’erano due praticissime stufe a legna, che scaldavano gli ambienti in pochissimi minuti. Per evitare il congelamento nei mesi più gelidi, bisognava tenere sempre chiuse tutte le porte, appunto per non fare uscire il calore dalle varie stanze. Il forno a legna in cucina, enorme, quando era in funzione fungeva da falò e tutta la famiglia vi si riuniva attorno. In bagno c’é solo la vasca, ma era senza box (lo abbiamo aggiunto noi di recente): così bisognava fare la doccia solo seduti e velocissimi, per non schizzare d’acqua tutte le pareti e il pavimento!
La casa di Monaco negli anni ha accumulato al suo interno ogni sorta di oggetto e quando noi siamo arrivati e la nonna se n’era andata da un paio d’anni, era praticamente un museo. Tutti i mobili risalivano a quando la casa fu costruita. Materassi e lenzuola pure. Vestiti e attrezzi del nonno erano ancora lì; l’elenco di “roba” che era stata lasciata nel corso dei decenni sarebbe interminabile. Io e il marito supersonico, ma soprattutto lui, abbiamo gettato via montagne di cose e ancora ce ne sarebbe. Mesi fa guardare dentro le stanze era come guardare le stelle dentro un telescopio: si poteva fare un salto indietro nel tempo, alle origini della storia dell’universo-casa. Oggi essa è molto più vuota, più pulita, più leggera e ariosa. Sembra nuova. Eppure, eppure ha perso un po’ di sapore, un po’ di fascino – per acquistarne un altro, sia chiaro – ed è come se un pezzetto della mia storia se ne sia andato insieme alle anticaglie che abbiamo gettato.
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