"LA CASA DI RAMALLAH"
di Antonio Tarantino
regia di Antonio Calenda
con Giorgio Albertazzi, Marina Confalone e con Deniz Ozdogan
visto il 5 novembre 2010
Cosa pensiamo quando sentiamo la notizia che un kamikaze si e' fatto esplodere in un luogo e in un orario di massimo affollamento? ...E se a saltare in aria e' una donna?Forse non arriviamo a provare dell'odio, ma sicuramente non pensiamo di metterci nei suoi panni. I più liberali magari provano a capire quali motivazioni spingono un essere umano a un gesto cosi' violento, ma non c'e' via di comprensione - soprattutto nella nostra cultura, ormai arida di ideali per cui morire.Questo spettacolo e' un viaggio ironico e tragico all'interno dei meccanismi concreti e idealistici di una scelta. Lo fa rappresentando una famiglia palestinese in viaggio su un treno interregionale "dove le porte dei cessi di seconda classe non si chiudono mai". In Palestina non ci sono treni, ma quel viaggio somiglia molto alle migrazioni nostrane. E come non riconoscersi nei battibecchi familiari tra marito e moglie, tra figlia e genitori? Antonio Tarantino prima getta un ponte tra la nostra quotidianita' e la loro (ipotetica). Le fermate dell'interregionale (che ogni volta cambiano) diventano un viaggio onirico in luoghi immaginari e immaginati, evocati e sconosciuti; diventano un tormentone che fa sorridere, cosi' come la ripetizione di alcuni piatti tipici della cucina araba. Il tono, pero', diventa sempre più triste, cupo, presagio della sventura che incombe sulla famiglia. Piano piano scopriamo la destinazione di questo viaggio. Rimaniamo scossi dai racconti della figlia, racconti di violenze sessuali, della fantomatica "Organizzazione" a cui aderire per avere dignita' sociale, di ordini da eseguire per conto dell'Organizzazione. Andare a morire con la stessa precisione con cui si va al lavoro. Ormai la magia dell'immedesimazione e' avvenuta, e la tensione emotiva del pubblico e' al culmine nei momenti più drammatici: l'esplosione, e la caduta dall'alto di decine di panni vuoti, simbolo efficace delle vittime.Lo spettacolo, nella replica che ho visto io, ha vissuto una dinamica particolare: per i primi venti minuti il pubblico e' stato gelido. La recitazione di Albertazzi ha messo a dura prova la voglia di comprendere del pubblico, il ritmo era lento, i dialoghi erano in realta' dei monologhi, la storia veniva presentata ritmicamente scandita come le stazioni ferroviarie dell'immaginario percorso del treno - ma anche come le stazioni di una via crucis.Benche' il ritmo non decolli mai, all'interno delle pause e delle dilatazioni si trova lo spazio per abituarsi ai personaggi, per accogliere le loro storie, per avvicinarsi alla comprensione delle ragioni. Infine, per trovare una possibilita' di assoluzione (almeno nelle intenzioni) per chi comunque si rende responsabile di stragi ingiustificabili. A volte, pero', dimentichiamo che anche chi si fa esplodere e' un essere umano con un vissuto che non possiamo giudicare: allora e' più facile piangere per il destino di una universitaria incinta, senza che ci sia del buonismo o della retorica. Deniz Ozdogan interpreta questo personaggio dipingendolo con l'irruenza dei giovani, la maturita' critica degli adulti, il coraggio dei martiri, la dolcezza femminile di una donna violata e incinta. L'altra figura femminile, quella della madre, e' interpretata con tanta morbidezza da Marina Confalone da vederci la madre-chioccia mediterranea, il vero perno della casa.Il viaggio verso la Terra Promessa questa volta non ha un lieto fine: la casa a Ramallah rimarra' un sogno che i due genitori orfani della figlia non realizzeranno mai.Alla fine il pubblico e' entusiasta, e le chiamate si sprecano.Finalmente il teatro ha assolto alla sua funzione sociale principale: dare degli strumenti per comprendere la realta', spingere lo spettatore a interrogarsi.
"Quando si esplode il tuo corpo si divide in un milione, in un miliardo di frammenti ciascuno dei quali, per una legge fisica, conserva le qualità nel tutto (...) Io, che ormai sono un miliardo di miliardi di particelle che vagano, vedo tutto e di tutto posso dar conto: e cioè che dio non esiste, che pace e guerra sono destinate a inseguirsi nel cerchio rovente del tempo, come si inseguono amore e odio, salute e malattia, giorno e notte, sole e pioggia, padri e figli, noi e loro, la loro storia e la nostra: e nessuno ha ragione, completamente ragione, né completamente torto" (da La casa di Ramallah di Antonio Tarantino)
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