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La Cassazione dice no ai volti dei mendicanti sui giornali e i siti web. Trattasi di diffamazione

Creato il 31 gennaio 2012 da Iljester

La Cassazione dice no ai volti dei mendicanti sui giornali e i siti web. Trattasi di diffamazione

L’accattonaggio — si sa — è un fenomeno che ormai dilaga ovunque. Con l’aumento della immigrazione regolare e clandestina, i nostri incroci si sono trasformati in un via vai di persone che chiedono una monetina. Famosi sono i cartelli nei quali si afferma, con un italiano appositamente stentato, di avere quattro, cinque, sei figli da mantenere. L’obiettivo è sempre lo stesso: impietosire e dunque indurre le persone a scucire un euro di qui e un euro di lì, che alla fine della giornata diventano cinquanta o cento euro. I quali, moltiplicati per venti giorni (anche gli accattoni fanno festa), possono sfiorare i duemila euro. Soprattutto nelle grandi città dove esistono addirittura delle zone assegnate, e guai a sgarrare di un metro.

Proprio per le sue strette connessioni con la criminalità, il fenomeno è spesso fatto oggetto delle indagini giornalistiche di questa o quella testata, e molte volte la redazione del giornale ci appiccica la foto del questuante che chiede l’elemosina, non preoccupandosi di oscurarne il volto.

Ebbene, a quanto pare una rumena ha deciso di ricorrere al giudice, querelando un giornale che la aveva ritratta di fianco a un articolo che parlava di accattonaggio. Il giudice del Tribunale però aveva dichiarato il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. In altre parole, aveva ritenuto il reato non esistente sulla base delle argomentazioni della difesa, ritenendo «non diffamatorio l’articolo e le foto improntati a scoraggiare “fenomeni quali la prostituzione, il vandalismo e l’accattonaggio diffuso».
La persona offesa ha impugnato il provvedimento davanti alla Corte di Cassazione, e la Corte (sentenza n. 3721) ha ribaltato le ragioni del giudice di merito ritenendo che:

… la fotografia di Ciurar C., indicata come questuante all’opera, posta a corredo dell’articolo non può essere considerata neutra, dal momento che il lettore è portato ad identificare la persona rappresentata con uno dei mali da combattere – l’accattonaggio diffuso – e l’ipotizzato collegamento con ambienti malavitosi – ed uno dei problemi da eliminare per garantire una pacifica vita cittadina.

Insomma, secondo i giudici di legittimità è legittimo — quando si parla di fenomeni generali come l’accattonaggio — allegare foto che possano simboleggiare il fenomeno, ma «al fine di evitare che si crei un preciso collegamento tra un fenomeno generale e una specifica e individuabile persona fisica» si deve evitare di mostrare il volto di quella precisa persona. Diversamente si rischia di incorrere nel reato di diffamazione a mezzo stampa, senza nemmeno rendersene conto.

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Per quanto riguarda la mia opinione, credo che di massima, le ragioni della Corte di Cassazione possono essere considerate condivisibili, seppure è difficile immaginare la non esistenza di un collegamento tra l’evento generale e la persona fisica, quando la persona fisica effettivamente svolge l’attività oggetto dell’articolo. In altre parole, se io parlo di prostituzione e mostro la fotografia di una prostituta che chiacchiera con un cliente, e questa è riconoscibile, non vedo dove possa essere l’elemento diffamante. Il problema semmai riguarda la valutazione oggettiva del contenuto dell’articolo rispetto all’attività effettivamente rappresentata nella foto. Se parlo della criminalità organizzata che si nasconde dietro l’accattonaggio, è meglio oscurare il viso della persona ritratta nella foto, in quanto non è affatto detto che quella persona appartenga a un’associazione a delinquere dedita allo sfruttamento dell’accattonaggio o sia essa stessa ‘0staggio’ di questi fenomeni criminali.

Fonte: Adnkronos

di Martino © 2012 Il Jester 


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