La casta degli inganni

Creato il 03 agosto 2011 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Attenti perché cominciano ad essere davvero adirati con noi. Ma come? con tutti i sacrifici che compiono, lontani dalle famiglie, turni usuranti, la vita sempre più cara, che anche il rombo con le patate non è più lo stesso a alla buvette non c’è nemmeno il gelato di pistacchio, povero Buttiglione. E poi le zuffe interne, e la GdF che ti controlla, e quei bastardi dei giornalisti che stanno sempre a inciuciare e, diciamo la verità, non è mica facile stare sul mercato, attenti alla concorrenza, in fondo che mestiere è più precario del loro? Come gli attori sempre a doversi guadagnare la stima del regista e il consenso del pubblico. E come se non bastasse adesso tutta questa incomprensione, tutta questa ingratitudine.

Chi in questi giorni per accanimento masochistico contro se stesso, finisse per imbattersi in uno di quegli ineffabili contenitori televisivi, macchine celibi incaricate di approfondire il vuoto torricelliano di contenuti e di interesse generale di quello che dovrebbe essere il sistema decisionale quanto mai inetto del paese, li sentirebbe schiumanti di rabbia e lividi di livore bipartisan contro il loro popolo disconoscente.
Succede così anche nelle coppie, perseveranti sciupa femmine sono colti di sorpresa quando la loro signora dopo anni di rassegnata sopportazione si ribella alle corna. E per non parlare di padroni sconcertati perché dopo tante busse il loro Fido rialza la testa e morde la mano che l’ha bastonato.
Ogni tanto qualcuno ricordo un alato libriccino di Thomas Mann, molto citato e poco letto, nel quale un imbonitore imbroglione manipola le coscienze e ipnotizza il suo pubblico costringendolo a saltellare al suono delle scudisciate. L’apologo racconta di processi infami di identificazione con la figura del ciarlatano, di appartenenza fanatica, di perverso annichilimento nell’ubbidienza finchè, catartica, si verifica lo scivolamento dalla soggezione alla rivolta rabbiosa, fino alla tragedia. Succede così quando il popolo si ribella al populismo. E i semplici insorgono contro il semplicismo. Perché è una regola delle deformità della politica quando si degrada a elettoralismo, quella di esercitare suggestione e finzione al posto dell’attività di governo. Gli studiosi della democrazia sapevano che la politica nata per sciogliere i nodi della contemporaneità, quando degenera sa solo tagliare con una spada rozza e irrazionale.

In un’epoca di formidabili fermenti e complessità le risposte a bisogni, necessità, istanze dovrebbero essere semplici non rudimentali, certe non rassicuranti. L’egemonia del semplicismo al potere invece assume su di sé le categorie astratte della politica e le concretizza in una figura anziché in progetti e azioni, che offre immedesimazione a un elettorato infantilizzato, promette e perdona, accoglie i fedeli e li include in una forma di custodia cautelare e protettiva.

E lo ha fatto entrando in sintonia con i principali e più avvelenati sintomi della malattia della disaffezione e dell’allontanamento dalla polis, quelli del fastidio per la burocrazia, per gli sprechi, per certe prepotenze o per le tasse giuste o ingiuste ma comunque inique. E lo ha fatto mediante un rappresentante di quel mondo modernista ma regressivo di imprenditori che rifiutano le mediazioni e perseguono un disegno di affrancamento non solo simbolico dalle regole dentro una narrazione piccolo borghese, la rivolta dell’uomo comune contro le élites, il populismo come forma e organizzazione politica.
Ora questa combinazione tossica e smisurata di reale e immaginario, di perbenismo e immoralità, di onnipotenza delirante e banale miserabilità, di eccessi e insuccessi, alla prova di una crisi economica, sociale, di civiltà e di sentimenti entra in conflitto con se stessa: non è stata sufficientemente persuasiva, ha deluso, ha mostrato che non c’era sostanza, solo spot pubblicitari che promettevano miracoli mentre non c’era nemmeno una merce taroccata.
La farina finta era crusca e non è riuscita a farci il pane nemmeno la dittatura mediatica. C’è la possibilità che saremo più poveri ma più onesti, più disillusi ma più liberi.