la castrazione chimica: farmaci, chirurgia e psicologia

Da Psychomer
by Valentina Dettori on novembre 5, 2012

La scelta compiuta dal legislatore con l’applicazione della legge n. 66/1996 è stata quella di introdurre la definizione di un’unica ipotesi di reato denominato “atti sessuali”, includendo così, anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore.

Con ciò si è voluto eliminare la necessità di indagini, umilianti per la vittima, volte ad identificare nel caso concreto la specifica condotta compiuta dal colpevole; la precedente normativa prevedeva, infatti, sia l’ipotesi di violenza carnale, sia l’ipotesi di atti di libidine con applicazione di pene differenti.

Il Codice Penale Italiano prevede una pena che oscilla da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 12 anni, a seconda degli articoli 609bis (Violenza sessuale), 609 ter (Circostanze aggravanti), 609 quarter (atti sessuali con minorenne), 609 quinquies (Corruzione di minorenne), 609 sexies (Ignoranza dell’età della persona offesa), 609 octies (Violenza sessuale di gruppo), non essendo in vigore alcuna legge che preveda in Italia la castrazione chimica per coloro che commettono tali reati, nonostante la politica si interroghi costantemente sulla necessità o meno di introdurre questa nel Codice Penale.

Il carcere di Bollate (provincia di Milano), a tale proposito, ha avviato nel 2005 un progetto sperimentale, il “Progetto di trattamento e presa in carico di autori di reati sessuali in unità di trattamento intensificato e sezione attenuata“, che risulta essere il primo tentativo da parte delle carceri italiane di presa in carico e gestione dei sex offenders, i quali seguono una terapia apposita della durata di un anno, partendo dal presupposto che l’unica maniera per azzerare il rischio di recidiva sia quella di accompagnare il reo nell’ammissione del reato, per poi lavorare sulla sua reintegrazione all’interno dell’istituto.

All’interno della struttura, vi è un moderato numero di detenuti che, volontariamente, si sta sottoponendo ad una terapia farmacologica, che non utilizza antiandrogeni (differentemente dal progetto condotto in Gran Bretagna dal neuropsichiatra Don Grubin, il quale per un anno ha sperimentato la cura farmacologica con antiandrogeni sui detenuti), ma neurolettici, stabilizzatori dell’umore, ansiolitici e antidepressivi, per controllare l’impulsività e trattare i sintomi correlati. Più che di castrazione si preferisce dunque parlare di dissuasione: la moderna iniezione, infatti, permette di inibire l’impulso sessuale per soli 12 mesi, facendo sì che la castrazione chimica sia reversibile, a differenza di quella chirurgica, attuata nei secoli precedenti e minimamente ancora ai giorni nostri, che prevede la riduzione del testosterone maschile attraverso la rimozione chirurgica dei testicoli o lo schiacciamento degli stessi, in modo da non renderli più funzionali (anche se, come riportano Stone, Winslade & Klugman (2000), le funzioni sessuali possono essere reversibili grazie ad un nuovo apporto di testosterone).

I farmaci utilizzati per il trattamento permettono di abbassare i livelli di testosterone e di altri ormoni nel plasma, con conseguente diminuzione degli impulsi, delle fantasie, dei pensieri e dei desideri sessuali (l’eccitazione sessuale si abbassa del 51%) e dunque delle attività sessuali.

La conseguenza più evidente è che la recidività si assesta al 25%, riducendo dunque notevolmente la possibilità che i soggetti castrati commettano nuovi reati sessuali.

Essendo però la Pedofilia una parafilia, e dunque una patologia psicologica, è necessario affiancare la terapia farmacologica ad un trattamento psicologico, per abolire del tutto la recidività.

Continua…


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