Ma dov’è il luogo di questa democrazia tanto avanzata che negli anni scorsi il governo centrale ha cercato in tutti i modi di ridurre l’autonomia della regione catalana e ultimamente ha impedito il varo di politiche sociali ed economiche tra cui il ripristino degli sconti sulla bolletta energetica per le famiglie meno abbienti approvati durante la scorsa legislatura del parlamento di Barcellona e sospesi dal Tribunale Costituzionale? Formalmente si trova a Madrid, ma il suo motore è a Bruxelles e non a caso Rajoy in questa occasione come in altre ha gridato che la Catalogna resterà in Spagna e in Europa. E’ duemila chilometri a Nord che viene legittimata, incoraggiata e imposta la democrazia senza il popolo, ossia la dittatura del denaro e delle elite che trova nella conservazione delle spoglie della democrazia il punto minor resistenza.
Non è nemmeno un caso che durante la campagna elettorale nella quale hanno vinto le forze indipendentiste l’Europa e il suo doppio, ossia il sistema bancario, si siano spesi fino allo stremo per far vincere i partiti contrari, tiepidi o ambigui (come l’ormai defunto Podemos) sull’indipendenza utilizzando una minaccia giuridicamente inesistente, ossia che la separazione di una qualsiasi regione da uno degli Stati della Ue, avrebbe come effetto una sua uscita dal consesso continentale. Mentre da Washington è giunto anche l’ovvio “uscita dalla Nato”, come se ciò potesse fregare qualcosa ai catalani non proprio dementi. In realtà questa prospettiva è solo una minaccia o magari una speranza, a seconda dei casi, che tuttavia non ha alcun riscontro negli statuti europei e nemmeno nella realtà, anche perché il 16% di ciò che la Spagna versa a Bruxelles viene da Barcellona. Quindi in termini formali ci potrebbe essere solo una ricontrattazione delle obbligazioni ed è ciò che davvero teme la governance europea perché così aprirebbe un enorme vaso di Pandora.
Paradossalmente la Spagna in quanto tale entra in maniera marginale in questa vicenda che ha al suo epicentro proprio l’ Europa: quando Madrid aveva un governo non eterodiretto dal Nord del continente aveva dato ampie autonomie alla Catalogna e il movimento indipendentista era solo una corposa minoranza conservatrice che campava su queste suggestioni. Poi con la crisi sono arrivati i massacri sociali imposti da Bruxelles e questa minoranza si è saldata con la sinistra sociale vista l’impossibilità di fare delle autonomie della regione uno scudo contro le diseguaglianze imposte dai governatori di Madrid. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il rifiuto di concedere il “pacto fiscal” di cui godono i Paesi Baschi e questo per poter ottemperare alle obbligazioni imposte dall’Unione ed evitare un commissariamento formale del Paese. Dunque la fuga di Barcellona non è solo da Madrid, ma soprattutto da Bruxelles: è stata l’Europa a creare il problema catalano. E oggi tenta con i media, i ricatti e la paura di metterci una pezza essendo ormai consapevole (l’esempio scozzese è da manuale) che in certe condizioni particolari si verifica una saldatura fra ceti popolari e piccola borghesia. E che nel prossimo futuro potrebbe anche essere che questa connessione si formi anche senza la necessità di un elemento esterno come quello catalano, nonostante le difficoltà enormi, l’insonne opera di divisione e trascinamento a destra dei ceti medi e di disorientamento dei lavoratori.