[Incontinenza - Paola Attanasio]
di Massarello – Sepolto Andreotti, restano le sue battute tipo il potere logora chi non ce l’ha o che a pensar male si fa peccato, ma ci azzecchi. Battute d’effetto, ma non paragonabili al sic transeat gloria mundi o al più cristiano riferimento all’umiltà. Che non significa arrendevolezza o peggio indifferenza. Ecco perché ha fatto benone Cosimo a ripristinare le Kessler ed ecco perché su Cavit mi sento di tornare. Con una premessa salva equivoci, che autorizza (obbliga?) a ficcar il naso negli affari altrui, nella misura in cui da oltre mezzo secolo il Consorzio di Ravina e le cooperative hanno beneficiato di lauti (e sacrosanti) interventi pubblici che sono soldi di tutti. E’ il prezzo che devono pagare alla società, lasciarsi criticare e dimostrare che sono stati soldi ben spesi. Oddio, a maggior ragione dovrebbero essere criticati gli industriali privati che i contributi a fondo perduto li hanno messi sui loro cicibi, come quelli passati dal Getsemani al Barabba nero… Vediamo chi risolve per primo il rebus estivo, senza l’ausilio di un Trentino tyre blog.
Dopo aver ringraziato il Conte per l’originario giudizio, torniamo a Cavit ed alle Cantine sociali sperando di non trovarle permalose per i motivi anzidetti. Eravamo rimasti al numero di bottiglie da ordinare in vetreria laddove si spumantizzasse in Trentino il surplus di Chardonnay prodotto. Diciamo una ventina di milioni di pezzi per la gioia dell’indotto locale a cominciare dalle vetrerie, appunto. Il doppio della produzione attuale di classico che è ferma da anni e altrimenti destinata a restare tale ancora a lungo. In caso di dubbio, leggere il pezzo su L’Adige di oggi (qui) che conferma, nel caso ci fosse bisogno, che la Real Casa non ha fra i suoi scopi primari quello di risolvere il problema delle Chardonnay, ma semmai quello di farselo consegnare dai conferenti (cooperatori e non) come migliore non potrebbe essere. A chi compete allora il compito se non a Cavit? Competerebbe invero al Consorzio delle Cantine Sociali, quello fondato nel ’50 e che nel ’57 cominciò ad imbottigliare come Cavit. Negli anni, finita l’era dei Cavazzani, questo Consorzio andò svuotandosi dell’illuminata visione dei Padri fondatori, confondendosi prima e riassumendo poi in Cavit le due anime: quella filosofico strategica territoriale e quella operativa industriale che, per stare sul mercato, deve prescindere dal territorio. Sintesi brutale che rispecchia la realtà odierna con il business in cima alla scala dei valori. Orbene, con una visione meno timida, è dimostrabile che business e territorio non sono inconciliabili anche nei fatti, perché a parole lo si è sempre ripetuto, salvo muoversi in direzione ostinata e contraria, come cantava l’indimenticabile Fabrizio De André.
Quanto sopra per dire che l’auspicato raddoppio di bottiglie a marchio Kessler pur con Chardonnay trentino sfuso, non andrebbe molto oltre al trentinissimo e intraducibile “peti per la tos”. Insomma, 20 milioni di teorici pezzi contro il milione di altrettanto teorici pezzi, per giunta non facilmente “trentinizzabili” in etichetta. Vero è (?) che l’acquisizione di una Casa straniera (?) è pur sempre fatto positivo, ma quale straniera? Siamo o no in Europa con le stesse leggi e la stessa moneta? E allora dobbiamo cominciare a ragionare che Monaco è a 350 km da Trento mentre Roma è a 600 come Berlino, con la differenza che lì le fatture sono abituati a pagarle entro il mese ed al 40.mo giorno si aspettano semmai il primo sollecito che precede il tribunale. Se no sei fuori. Così va quel mondo, se lo vogliamo conoscere e frequentare. Succederà poi perché già succede, che per farti i complimenti, ti dicano buono questo Prosecco! E tu sei lì a spiegare che no, che questo è base Chardonnay, che viene dalle alte colline trentine, che il prezzo non è comprimibile, che, che, che… Fosse facile, lo dico sempre, l’avrebbero già fatto gli altri. A noi restano da fare le cose difficili, come difficile sarà impegnarsi per organizzare una vera soluzione definitiva per le eccedenze (peccato doverle definire così) di ottimo Chardonnay di collina.
Mi sovviene: saranno stati sprovveduti i massimi dirigenti della più grande Maison de Champagne che qualche anno fa giunsero quasi alla firma per l’acquisto di una primaria Casa spumantistica trentina dopo aver attentamente valutato la qualità dei vini base e la potenzialità del territorio? Potendolo raccontare nei particolari, questo sarebbe il migliore e più convincente dei manifesti per il Trentino!