Justine (Kirsten Dunst) e Michael (Alexander Skarsgård) arrivano con grande ritardo al sontuoso ricevimento organizzato per il loro matrimonio. Ad aspettarli sono soprattutto Claire (Charlotte Gainsburg), la sorella della sposa e suo marito John (Kiefer Sutherland), gli organizzatori dell'evento nonchè padroni di casa. Justine sembra felice ma nel corso della serata manifesta evidenti segni di disagio che la spingono ad allontanarsi più volte dal clima di festa e a cercare momenti di solitudine. Sempre più tormentata dalle sue visioni, finirà per rinchiudersi in se stessa e ad allontanare anche il neomarito. Dopo qualche mese, a causa delle enormi difficoltà dovute alla malattia, Justine torna a casa di Claire che decide di occuparsi di lei nonostante il parere contrario del marito. Nel frattempo un fenomeno astronomico senza precedenti sta sconvolgendo il mondo: è Melancholia, un gigantesco pianeta in movimento verso la terra...Seguito dall'abituale strascico di polemiche, Lars Von Trier si ripresenta al grande pubblico mettendo in scena un malessere da respirare a pieni polmoni, un viaggio al termine della depressione dal quale è difficile uscire indenni. Il film strutturato in due parti si apre con una sequenza di immagini imponenti; monoliti eretti sulle note del Tristano e Isotta di Wagner che calano completamente lo spettatore nel clima rarefatto del film annunciando ciò che verrà mostrato con ben poca pietà. L'incapacità di vivere non abbandona Justine nemmeno il giorno del suo matrimonio. Ciò che la ricatta pretendendo la sua felicità è una cosa insostenibile e ripugnante; proprio come la limousine che si incaglia in una tortuosa strada di campagna, la ragazza è incapace di andare avanti e implode vinta da una sorta di depressione eroica che le impedisce di raggiungere uno stato di equilibrio. Ovviamente in tutto ciò emerge l'ego del regista perfettamente incarnato dalla splendida Kirsten Dunst giustamente premiata con la palma d'oro per la migliore interpretazione femminile all'ultimo festival di Cannes.
Se durante la prima parte del film il regista danese sguazza nelle acque a lui familiari delle dinamiche della mondanità borghese rievocando l'immaginario del Festen di Vintenberg, nella seconda cambia decisamente rotta e introducendo il pianeta Melancholia (dal latino umore nero, depressione) estende in maniera virale il male che fino a quel momento aveva riguardato la sola Justine e l'aveva posta come elemento incompatibile con la società. Il disagio si fa cosmico e spazza via tutto, dalle certezze incrollabili di John (un ottimo Kiefer Sutherland) brutalizzate da un elementare strumento costruito da un bambino, alle vane speranze della premurosa Claire. Nell'apocalisse ideale disegnata da Von Trier sarà proprio Justine, la zietta spezza-acciaio, a comprendere la gravità della situazione e ad accompagnare la sorella e il piccolo nipote negli ultimi istanti prima della catastrofe, restituendo loro il contatto ultimo con la natura e Dio. Con Melancholia il regista danese non aggiunge molto a quanto già affermato in precedenza ma si concede al pubblico in maniera più docile, tralasciando gli eccessivi simbolismi de L'Anticristo e citando con garbo il maestro Tarkovskij. Nonostante la critica come sempre ingenerosa nei confronti di questo autore (la cui unica colpa è quella di voler mettersi in mostra più come personaggio che come regista) il film è sicuramente un valido antidoto al cinema da pollaio. A volte alla felicità finta è preferibile la disperazione vera.
voto: 7.5
voto redazione:---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Apeless: 8 - Ang: 6 - WaX: 8 - Chiara: 8