Dopo gli sconvolgimenti della Rivoluzione francese e dell’epoca napoleonica, i governi della Restaurazione si preoccuparono in maniera decisamente più sistematica del problema, vista anche la fisionomia di spettacolo di massa che l’Opera andava assumendo. Le forbici censorie ebbero un gran daffare all’indomani del Congresso di Vienna, perseguendo le direttive del rispetto dell’ordine aristocratico, della religione e del pudore con crescente pignoleria. In Italia, la frammentazione politica – con il Regno di Sardegna ai Savoia, gli austriaci a comandare direttamente sul Lombardo-Veneto e ad influenzare pesantemente i ducati tosco-emiliani e il Granducato di Toscana, il governo del Papa su Lazio, Umbria, Marche e Romagna e il borbonico Regno delle due Sicile al sud – favorì il pullulare di interpretazioni della censura che variavano di teatro in teatro. Questo particolarismo censorio tutto italiano sfociò in interventi decisamente grotteschi, coi quali, chi più chi meno, tutti i grandi compositori dovettero fare i conti. Così, per fare qualche esempio, Rossini ebbe problemi con la censura asburgica per l’abito talare di Don Bartolo nel Barbiere e per le morti violente in scena di Desdemona e Semiramide. Donizetti, dal canto suo, venne censurato dai borboni a Napoli per l’alterco scurrile tra le due regine nella Maria Stuarda e per le commistioni sentimentali e profane della tragedia martiriologica Poliuto. Bellini si vide addirittura cambiare, nei teatri papalini, il titolo della sua opera più conosciuta, Norma, in quanto termine usato nel diritto canonico.
Ma, neanche a dirlo, il più attenzionato dal potere fu Giuseppe Verdi. L’elenco delle opere verdiane fatte revisionare dalle censure italiche, quantomeno nel periodo preunitario, è lungo: dall’Oberto al Nabucco, dai Lombardi all’Ernani, dal Trovatore al Ballo in maschera. Asburgo, Papato e Borboni si scatenarono nel setacciare ogni riga dei libretti di Solera, Cammarano e Piave, alla ricerca di versi sconvenienti per l’ordine costituito o per la morale. Emblematica fu l’estenuante trattativa con la censura austriaca per la messa in scena veneziana del Rigoletto, tratto dal dramma, a sua volta bloccato dalla censura francese, Le roi s’amuse di Victor Hugo. Il bussetano fu costretto ad acrobazie d’ogni tipo per riuscire a salvaguardare l’intreccio drammatico, nonostante lo stravolgimento dell’ambientazione a cui l’aveva costretto la censura. Con la nascita delle democrazie liberali e il contemporaneo calo di popolarità dell’Opera, sostituita come fenomeno di massa dal cinema, le attenzioni della censura si allentarono. Episodi eclatanti si verificarono nei regimi autoritari, come avvenne per la Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Shostakovich, stroncata da Stalin in persona e, nonostante il successo di pubblico e critica, ritirata da tutti i teatri russi, per ricomparire, dopo una poderosa revisione, solo 25 anni più tardi, col titolo di Katerina Izmailova.