Dicevano che era necessario privatizzare perché il privato è più efficiente del pubblico. Si è visto. Innanzitutto la privatizzazione di un’impresa o di un’azienda non è indice di uno Stato e di un’economia che si sta risollevando, diversamente da ciò che dicono gli illuminati economisti europei, tanto più può essere interpretata quale segno di modernità come ci vuol far credere la non conforme classe politica, allegramente privatizzatrice, che ci governava e che ci governa. Altresì è il sintomo di un paese alla canna del gas. I tagli netti alla scuola, al lavoro, alla ricerca, la richiesta d’accettare tassi di sfruttamento più “competitivi”, la subordinazione al pensiero unico neoliberista della troika, il dato della disoccupazione, certamente non possono essere considerati segni positivi. In Italia la storia delle privatizzazioni ha origini lontane e molte volte sono state portate avanti anche da governi di centro-sinistra che hanno palesato grande piacere in questa pratica, dimostrando – tra l’altro – come provvedimenti del genere mai hanno portato a grandi risultati. Perché il nostro paese torni ad essere rilevante nel contesto internazionale dal punto di vista economico e politico è necessario riprogrammare gli investimenti economici mirando alla scuola, alla ricerca e al lavoro, finanziandoli attraverso la riduzione di spese realmente inutili e già note. E per fare questo è essenziale lavorare con tutte le grandi aziende italiane, non dimenticando i singoli lavoratori e i tutti i cittadini che, non disponendo di un salario adeguato, bloccano l’intera produzione, perché è chiaro che se si guadagna di meno si spenderà meno e così andrà in crisi l’artigiano, il commerciante, ecc. coinvolgendo trasversalmente ogni settore dell’economia. Non c’è da meravigliarsi se da svariati anni siamo in recessione. Nessuno dei provvedimenti presi è stato sufficientemente adeguato per dare una svolta a questo sistema produttivo che, marxisticamente parlando, ha in se profonde contraddizioni e in una crisi di queste dimensioni sono visibili chiaramente. Non si può pensare di risolvere il problema occupazionale riducendo l’Iva o rimuovendo l’Imu, sarebbe una follia. Rispetto a queste tematiche è evidente che il problema è di natura strutturale. Servirebbe invece un programma per salvaguardare i settori strategici dell’economia ed è necessario ripartire dal lavoro. C’è un debito, ci sono problemi seri e immensi che vanno risolti, non con la distruzione dell’intera società, ma con l’occupazione.
di Giovanni Di Bartolo