La chiesa di san gemiliano a samassi

Creato il 08 maggio 2015 da Ilmulinodeltempo @IlMulinodelTemp
L’importante centro agricolo di Samassi si incontra percorrendo la piana del Campidano centrale, a circa quaranta chilometri a nord-ovest di Cagliari. L’abitato, di antiche origini, ha restituito tracce di frequentazione a partire dall'età protostorica, con particolare rilevanza per le testimonianze di età punica e altomedioevale.  Ai margini del centro storico, nella parte più alta del paese denominata Su Cunventu, sorge la chiesa dedicata a San Gemiliano (localmente Santu Millanu) che, seppure molto restaurata e compromessa in alcune sue parti da interventi di restauro e ripristino di diverse epoche, costituisce comunque uno dei più importanti monumenti medioevali della zona. 
Poco nota al grande pubblico e totalmente esclusa dai percorsi turistici, la piccola chiesa romanica mostra più di un motivo di interesse. Come già affermava Vittorio Angius fu, con ogni probabilità, l’antica parrocchiale del paese, per lo meno fino alla costruzione della nuova chiesa di Santa Maria di Monserrato, notevole edificio tardo-gotico impiantato nei decenni finali del XVI secolo. I riferimenti documentari antichi relativi alla chiesa di San Gemiliano sono scarsi e frammentari, e non contribuiscono in maniera determinante a chiarirne le vicende costruttive: l’attuale veste dell’edificio si data senza difficoltà, per via stilistica e per comparazione formale, alla seconda metà del secolo XIII, epoca in cui si assiste all’avvio di numerosi cantieri romanici in tutta la Sardegna meridionale, e che dunque vide la circolazione pressoché costante di gruppi di maestranze, locali e non, la cui formazione e provenienza sono ancora oggetto di indagine.  Le caratteristiche stilistiche della decorazione e dell’impaginazione formale e strutturale della chiesa ci rimandano senza dubbio a una norma di stretta osservanza degli stilemi pisani in alcuni dettagli come i portali e l’articolazione dell’intelaiatura strutturale e decorativa dei muri, con la commistione – tipica di numerosissimi cantieri toscani, sardi e corsi – di elementi che, in modo generico, vengono abitualmente definiti “lombardi”. 
Spontaneamente si tende a condurre il ragionamento tenendo conto dei principali edifici in fabbrica nella Sardegna centro-meridionale nel corso del Duecento – ad esempio le nuove cattedrali di Cagliari, Tratalias, Suelli, Dolia – le cui innovazioni da Cagliari e dagli altri principali cantieri si irradiavano nei centri più piccoli, ma per quanto riguarda Samassi, a parte alcuni generici rimandi – peraltro comuni ad altri monumenti – non è agevole avanzare proposte di filiazione diretta. 

Cagliari, duomo, portale del transetto nord

Dolianova, cattedrale di San Pantaleo,
 portale nord della facciata

Da notare comunque che, tra i monumenti citati, il confronto con la cattedrale di Santa Maria a Tratalias è quello che offre i maggiori spunti di riflessione.

Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetti nord e ovest


Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetto ovest

La datazione della chiesa che possiamo vedere oggi non scioglie i dubbi sulle preesistenze che, anche allo stato attuale delle indagini, purtroppo mai condotte con regolarità, sono comunque certe: scavi archeologici condotti nei primi anni ’80 hanno appurato che la chiesa sorge su un’area funeraria di età altomedioevale, con tombe a camera di notevole interesse che  hanno restituito materiali di età vandalica e bizantina. Una chiesa Sancti Mamiliani de Simassi – che si può, senza troppa difficoltà, identificare con la nostra – è citata in un documento del 1 ottobre 1118 (1119 secondo lo stile pisano) tra le proprietà del potente monastero benedettino di San Mamiliano dell’isola di Montecristo (poi passato ai Camaldolesi nel XIII secolo), che vantava numerose proprietà anche nella vicina Corsica. A parte questa testimonianza, non restano comunque altre tracce documentarie che attestino l’eventuale presenza a Samassi di un monastero benedettino annesso alla chiesa, né sussistono strutture architettoniche riferibili alla chiesa Sancti Mamiliani citata dal documento.  In attesa di più approfondite indagini archeologiche che chiariscano in modo definitivo la questione, l’unica traccia utile che ci consente di ipotizzare la presenza, nello stesso sito, di una chiesa più antica, è il riutilizzo, nell’edificio duecentesco, di alcuni frammenti marmorei scolpiti e reimpiegati nelle murature romaniche: databili alla seconda metà del X secolo, in epoca mediobizantina, i due frammenti, riconducibili a un perduto arredo marmoreo non meglio precisabile (Roberto Coroneo propose la provenienza da una iconostasi) mostrano una raffinata decorazione con rosette baccellate e una croce potenziata nascente da un grappolo d’uva; il frammento di maggiori dimensioni è reimpiegato, in posizione verticale, sullo stipite sinistro del portale maggiore, l’altro nella stessa posizione nel portale aperto sul fianco settentrionale.
Nella seconda metà del XVI secolo, probabilmente in concomitanza con l’erezione della nuova chiesa parrocchiale, la chiesa di San Gemiliano fu affidata a una comunità agostiniana, che vi edificò un convento rimasto poi in attività fino alle soppressioni di metà ‘800 e di cui oggi non rimane alcuna struttura, in quanto venne interamente demolito per isolare la chiesa e per fare spazio all'attuale casamento scolastico. Il 18 giugno 1585 è documentata la commissione, da parte del feudatario don Emanuele de Castelvì allo scultore Scipione Aprile, del proprio monumento funebre, da collocarsi nella chiesa  di San Gemiliano, all’interno di un’ampia arcata appositamente realizzata e addossata alla parete settentrionale (ASCA, ANL, vol. 1516, cc. 373v-377 [notaio Gerolamo Orda]): il monumento, ancora oggi custodito integro all’interno, costituisce una delle opere più rappresentative dell’Aprile, che fu tra i principali artisti operanti in Sardegna nei decenni a cavallo tra ‘500 e ‘600. Il sepolcro fu realizzato con certezza nel giro di poco tempo, in quanto il 6 aprile 1588 lo scultore dichiara di essere stato pagato dal Castelvì per la realizzazione dell’opera (ASCA, ANL, vol. 1523, cc. 277v-278 [notaio Gerolamo Orda]), mentre l’iscrizione che la correda riporta: Sipio Apprile opus fecit a 12 de marco a[ño] 1586.
Venendo a una breve descrizione della chiesa, si segnala subito che essa è canonicamente orientata, con abside a est (per la precisione a sud-est) e facciata a occidente. L’edificio è mononavato, con abside semicircolare e copertura lignea su capriate (totalmente di ripristino).  

La chiesa è interamente edificata in trachite scura delle cave di Serrenti, pietra molto facile da lavorare, ma purtroppo particolarmente sensibile alle sollecitazioni meccaniche e all’azione degli agenti atmosferici, che hanno eroso, in gran parte, i dettagli decorativi e hanno obbligato in alcuni casi i restauratori ad estese opere di sostituzione dei conci danneggiati, anche se si deve lamentare che in molte zone si è intervenuti con eccessiva disinvoltura. La scansione decorativa dei prospetti dell’edificio è semplice ma estremamente elegante: da un alto basamento a scarpa nascono le larghe paraste angolari e le più strette lesene, che ripartiscono le pareti nord, ovest e sud in tre ampie specchiature per lato, concluse, in alto, da una lunga teoria orizzontale di archetti pensili (in buona parte di ripristino, specie lungo il fianco sud) dal profilo semicircolare, a ghiera semplice o doppia;  nel prospetto settentrionale alcuni archetti (forse rimontati in posizione diversa dall’originale) mostrano un profilo archiacuto, indizio importante per la datazione dell’edificio al pieno XIII secolo; la serie orizzontale degli archetti continua ininterrotta anche nel prospetto principale, mentre si interrompe nella testata absidale, dove le archeggiature corrono unicamente lungo il terminale del semicilindro dell’abside e, una per lato, formano due specchiature di ridottissima ampiezza ai lati dell’abside stessa; 
quest’ultima, poi, non presenta partizioni verticali, né la zoccolatura a scarpa che caratterizza il resto dell’edificio, lasciando l’impressione di un dialogo poco armonico con il volume dell’aula e con il resto della decorazione.
I peducci d’appoggio degli archetti (moltissimi sono di restauro), laddove originali, si mostrano lisci o presentano principalmente una semplice decorazione a foglie dalla cima riversa, tipica del XIII secolo, e pochi altri elementi decorativi difficilmente leggibili; se ne segnala uno, a ridosso della parasta angolare di nord-ovest, con una croce potenziata.  Tutti i peducci sono in trachite, escluso quello centrale dell’abside, che pare in marmo bianco o in pietra calcarea. Al centro del prospetto occidentale si erge un campanile a vela a doppia luce, certamente non originario ma di  difficile inquadramento cronologico; si può presumere, comunque, che forse la sua conformazione potrebbe rispecchiare una situazione simile del prospetto ab origine. Le porzioni superiori delle murature dell’intera chiesa mostrano di essere state rimaneggiate e ricostruite in diversi punti, ma difficile è risalire all’epoca di tali interventi: al di sotto del campanile a vela e tangente ad esso si notano chiaramente le tracce di un’apertura tamponata – probabilmente una bifora – il cui arco doveva originariamente eccedere in altezza l’attuale spiovente del prospetto, segno tangibile del totale rimaneggiamento delle parti alte dell’edificio. Analoga apertura, meglio conservata ma priva della originaria probabile colonnina spartiluce, si apre nella stessa posizione sulla testata orientale, al di sopra dell’abside.
Oltre che dalle suddette aperture, la luce penetra abbondantemente all’interno dell’edificio per mezzo di altre nove monofore a doppio strombo e sguanci lisci: tre si aprono nel semicilindro absidale e le altre sei nei prospetti nord e sud, una per specchio.


L’accesso alla chiesa avviene tramite due portali dalla foggia molto simile: quello principale aperto al centro della facciata ovest e uno, leggermente più piccolo, aperto al centro dello specchio centrale del fianco nord. 

Portale principale

Portale nord


Abbondantemente restaurato, il portale principale mostra chiari stilemi pisani nell’intelaiatura strutturale, data da larghi piedritti lisci (non monolitici) poggianti su basi modanate e sormontati da interessanti capitelli a decorazione fitomorfa a foglie d’acanto dalla cima riversa e caulicoli, del tutto analoghi ad altri coevi (vedi ad esempio quello custodito nella chiesa cagliaritana di Santa Chiara). I piedritti reggono un architrave liscio in pietra calcarea, su cui scarica un arco semicircolare dotato di sopracciglio nascente da due mensole scolpite con protomi antropomorfe dall’accentuato volume sferico e con occhi a bottone molto rilevati; su tali elementi, di indubbio interesse iconografico, pende però il sospetto di un loro eventuale totale rifacimento in sede di restauro, così come integralmente ripristinati sono il sopracciglio e le adiacenti lesene. 

Cagliari, chiesa di Santa Chiara, capitello erratico


Del tutto analogo – ma conservato decisamente meglio – è il portale settentrionale, la cui decorazione, persi i peducci di imposta del sopracciglio, è data unicamente dalle basi plasticamente modanate dei due piedritti e dagli interessanti capitelli degli stessi, che sfoggiano una ricca decorazione a doppia corona di foglie e caulicoli. Al centro della lunetta si individua un concio calcareo del tutto eroso, forse in origine portante una perduta decorazione.

Si segnala, infine, la presenza di un interessante concio in trachite con decorazione geometrica incisa a bassissimo rilievo, collocato al di sopra della lesena settentrionale della facciata, ma di incerta collocazione cronologica. L’interno della chiesa, pur molto suggestivo, oltre al notevole citato monumento Castelvì e a due acquasantiere marmoree, non presenta particolari degni di nota; le murature si mostrano nude, prive di intonaco, e sostengono una moderna copertura lignea su capriate, bipartita da un arco diaframma di epoca tarda (XVI secolo?) risparmiato dai restauri. Unico elemento di decorazione architettonica apprezzabile sono i due capitelli-imposta dell’arco absidale, probabilmente anch’essi di restauro. Nicola S.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO:
Sulla chiesa: - V. Angius, voce “Samassi”, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1849 (ristampa a cura di L. Carta: V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, III, Nuoro 2006, pp. 1341-1343); - P. Tola, Codex diplomaticus Sardiniae, I, Torino 1861, doc. XXVI, pp. 198-199. - D. Scano, Storia dell’arte in Sardegna dall’XI al XIV secolo, Cagliari 1907, p. 339; - R. Delogu, L’Architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953, pp. 190-191; - G. Zanetti, I Camaldolesi in Sardegna, Cagliari 1974, pp.195-199; - R. Serra, La Sardegna (collana: Italia romanica), Milano 1989, pp. 356-357; - R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993, scheda 123; - R. Coroneo – R. Serra, Sardegna preromanica e romanica, Milano 2004, pp. 291-293.
Sui frammenti mediobizantini: - R. Coroneo, Scultura mediobizantina in Sardegna, Nuoro 2000, pp. 236-237; - R. Coroneo, Arte in Sardegna dal IV alla metà dell’XI secolo, Cagliari 2011, pp. 212; 407; 414-415; 460.
Sul monumento Castelvì: - V. Angius, voce “Samassi”, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1849 (ristampa a cura di L. Carta: V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, III, Nuoro 2006, pp. 1341-1343); - R. Di Tucci, Artisti napoletani del Cinquecento in Sardegna, Napoli [1924], pp. 379-391. - R. Delogu, “Primi studi sulla storia della scultura del Rinascimento in Sardegna”, in Studi Sardi, XXII, 1941, pp. 11-14; - R. Salinas, “L’architettura del Rinascimento in Sardegna. I primi esempi”, in Studi Sardi, XIV-XV, parte II, 1958, pp. 356-357; - M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola. Documenti d’archivio, Cagliari 1987, pp. 43-44; - R. Serra, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, pp. 80; 165; 168; - M. G. Scano, Pittura e scultura del ‘600 e del ‘700, Nuoro 1991, pp. 86-89; - F. Virdis, Artisti e artigiani in Sardegna in età spagnola, Serramanna 2006, pp. 36-40.

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