Cagliari, duomo, portale del transetto nord
Dolianova, cattedrale di San Pantaleo,
portale nord della facciata
Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetti nord e ovest
Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetto ovest
La datazione della chiesa che possiamo vedere oggi non scioglie i dubbi sulle preesistenze che, anche allo stato attuale delle indagini, purtroppo mai condotte con regolarità, sono comunque certe: scavi archeologici condotti nei primi anni ’80 hanno appurato che la chiesa sorge su un’area funeraria di età altomedioevale, con tombe a camera di notevole interesse che hanno restituito materiali di età vandalica e bizantina. Una chiesa Sancti Mamiliani de Simassi – che si può, senza troppa difficoltà, identificare con la nostra – è citata in un documento del 1 ottobre 1118 (1119 secondo lo stile pisano) tra le proprietà del potente monastero benedettino di San Mamiliano dell’isola di Montecristo (poi passato ai Camaldolesi nel XIII secolo), che vantava numerose proprietà anche nella vicina Corsica. A parte questa testimonianza, non restano comunque altre tracce documentarie che attestino l’eventuale presenza a Samassi di un monastero benedettino annesso alla chiesa, né sussistono strutture architettoniche riferibili alla chiesa Sancti Mamiliani citata dal documento. In attesa di più approfondite indagini archeologiche che chiariscano in modo definitivo la questione, l’unica traccia utile che ci consente di ipotizzare la presenza, nello stesso sito, di una chiesa più antica, è il riutilizzo, nell’edificio duecentesco, di alcuni frammenti marmorei scolpiti e reimpiegati nelle murature romaniche: databili alla seconda metà del X secolo, in epoca mediobizantina, i due frammenti, riconducibili a un perduto arredo marmoreo non meglio precisabile (Roberto Coroneo propose la provenienza da una iconostasi) mostrano una raffinata decorazione con rosette baccellate e una croce potenziata nascente da un grappolo d’uva; il frammento di maggiori dimensioni è reimpiegato, in posizione verticale, sullo stipite sinistro del portale maggiore, l’altro nella stessa posizione nel portale aperto sul fianco settentrionale.Nella seconda metà del XVI secolo, probabilmente in concomitanza con l’erezione della nuova chiesa parrocchiale, la chiesa di San Gemiliano fu affidata a una comunità agostiniana, che vi edificò un convento rimasto poi in attività fino alle soppressioni di metà ‘800 e di cui oggi non rimane alcuna struttura, in quanto venne interamente demolito per isolare la chiesa e per fare spazio all'attuale casamento scolastico. Il 18 giugno 1585 è documentata la commissione, da parte del feudatario don Emanuele de Castelvì allo scultore Scipione Aprile, del proprio monumento funebre, da collocarsi nella chiesa di San Gemiliano, all’interno di un’ampia arcata appositamente realizzata e addossata alla parete settentrionale (ASCA, ANL, vol. 1516, cc. 373v-377 [notaio Gerolamo Orda]): il monumento, ancora oggi custodito integro all’interno, costituisce una delle opere più rappresentative dell’Aprile, che fu tra i principali artisti operanti in Sardegna nei decenni a cavallo tra ‘500 e ‘600. Il sepolcro fu realizzato con certezza nel giro di poco tempo, in quanto il 6 aprile 1588 lo scultore dichiara di essere stato pagato dal Castelvì per la realizzazione dell’opera (ASCA, ANL, vol. 1523, cc. 277v-278 [notaio Gerolamo Orda]), mentre l’iscrizione che la correda riporta: Sipio Apprile opus fecit a 12 de marco a[ño] 1586.
Venendo a una breve descrizione della chiesa, si segnala subito che essa è canonicamente orientata, con abside a est (per la precisione a sud-est) e facciata a occidente. L’edificio è mononavato, con abside semicircolare e copertura lignea su capriate (totalmente di ripristino).
La chiesa è interamente edificata in trachite scura delle cave di Serrenti, pietra molto facile da lavorare, ma purtroppo particolarmente sensibile alle sollecitazioni meccaniche e all’azione degli agenti atmosferici, che hanno eroso, in gran parte, i dettagli decorativi e hanno obbligato in alcuni casi i restauratori ad estese opere di sostituzione dei conci danneggiati, anche se si deve lamentare che in molte zone si è intervenuti con eccessiva disinvoltura. La scansione decorativa dei prospetti dell’edificio è semplice ma estremamente elegante: da un alto basamento a scarpa nascono le larghe paraste angolari e le più strette lesene, che ripartiscono le pareti nord, ovest e sud in tre ampie specchiature per lato, concluse, in alto, da una lunga teoria orizzontale di archetti pensili (in buona parte di ripristino, specie lungo il fianco sud) dal profilo semicircolare, a ghiera semplice o doppia;
Portale principale
Portale nord
Abbondantemente restaurato, il portale principale mostra chiari stilemi pisani nell’intelaiatura strutturale, data da larghi piedritti lisci (non monolitici) poggianti su basi modanate e sormontati da interessanti capitelli a decorazione fitomorfa a foglie d’acanto dalla cima riversa e caulicoli, del tutto analoghi ad altri coevi (vedi ad esempio quello custodito nella chiesa cagliaritana di Santa Chiara). I piedritti reggono un architrave liscio in pietra calcarea, su cui scarica un arco semicircolare dotato di sopracciglio nascente da due mensole scolpite con protomi antropomorfe dall’accentuato volume sferico e con occhi a bottone molto rilevati; su tali elementi, di indubbio interesse iconografico, pende però il sospetto di un loro eventuale totale rifacimento in sede di restauro, così come integralmente ripristinati sono il sopracciglio e le adiacenti lesene.
Cagliari, chiesa di Santa Chiara, capitello erratico
Del tutto analogo – ma conservato decisamente meglio – è il portale settentrionale, la cui decorazione, persi i peducci di imposta del sopracciglio, è data unicamente dalle basi plasticamente modanate dei due piedritti e dagli interessanti capitelli degli stessi, che sfoggiano una ricca decorazione a doppia corona di foglie e caulicoli. Al centro della lunetta si individua un concio calcareo del tutto eroso, forse in origine portante una perduta decorazione.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO:
Sulla chiesa: - V. Angius, voce “Samassi”, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1849 (ristampa a cura di L. Carta: V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, III, Nuoro 2006, pp. 1341-1343); - P. Tola, Codex diplomaticus Sardiniae, I, Torino 1861, doc. XXVI, pp. 198-199. - D. Scano, Storia dell’arte in Sardegna dall’XI al XIV secolo, Cagliari 1907, p. 339; - R. Delogu, L’Architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953, pp. 190-191; - G. Zanetti, I Camaldolesi in Sardegna, Cagliari 1974, pp.195-199; - R. Serra, La Sardegna (collana: Italia romanica), Milano 1989, pp. 356-357; - R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993, scheda 123; - R. Coroneo – R. Serra, Sardegna preromanica e romanica, Milano 2004, pp. 291-293.
Sui frammenti mediobizantini: - R. Coroneo, Scultura mediobizantina in Sardegna, Nuoro 2000, pp. 236-237; - R. Coroneo, Arte in Sardegna dal IV alla metà dell’XI secolo, Cagliari 2011, pp. 212; 407; 414-415; 460.
Sul monumento Castelvì: - V. Angius, voce “Samassi”, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1849 (ristampa a cura di L. Carta: V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, III, Nuoro 2006, pp. 1341-1343); - R. Di Tucci, Artisti napoletani del Cinquecento in Sardegna, Napoli [1924], pp. 379-391. - R. Delogu, “Primi studi sulla storia della scultura del Rinascimento in Sardegna”, in Studi Sardi, XXII, 1941, pp. 11-14; - R. Salinas, “L’architettura del Rinascimento in Sardegna. I primi esempi”, in Studi Sardi, XIV-XV, parte II, 1958, pp. 356-357; - M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola. Documenti d’archivio, Cagliari 1987, pp. 43-44; - R. Serra, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, pp. 80; 165; 168; - M. G. Scano, Pittura e scultura del ‘600 e del ‘700, Nuoro 1991, pp. 86-89; - F. Virdis, Artisti e artigiani in Sardegna in età spagnola, Serramanna 2006, pp. 36-40.