Muro Leccese: Chiesa di S. Marina (ph. V. D'Aurelio)
Nel 1871 lo storico Luigi Maggiulli (1828-1914) pubblica la sua “Monografia di Muro Leccese” nella quale, partendo dalle osservazioni sul posto, ricuce e ordina cronologicamente, supportato dalla documentazione storica affannosamente ricercata negli archivi, tutto ciò che riguarda la storia del piccolo centro salentino.
Nella monografia murese, tra le copiose notizie storiche, una breve trattazione è riservata alla chiesa di origine bizantina intitolata a “Santa Marina”, oggi ubicata in largo Trice lungo la via Arimondi. Il Maggiulli ne descrive sommariamente l’architettura e accenna anche brevemente agli affreschi qui presenti. Lo storico è il primo studioso ad annotare come le pitture visibili si sovrappongono ad altre più antiche su strati d’intonaco diversi e, in particolare, osservando le parti più profonde del residuo impianto pittorico ipotizza, un po’ arditamente, potersi persino far risalire al VI sec. d.C. Malgrado non siano chiari i motivi che spingano lo storico murese a supporre questa datazione, non vi è dubbio che il Maggiulli ha in anticipo compreso lo straordinario valore storico di questi affreschi che, malgrado tutto, è impossibilitato a leggere per via di una tarda imbiancatura delle pareti che li ricopre in buona parte.
L’intuizione dello storico salentino circa la loro importanza, trova riscontro a distanza di poco più di un secolo negli studi promossi dall’Università del Salento. Infatti, il recupero di buona parte di essi e la preziosa analisi effettuata dalla prof. Marina Falla Castelfranchi, ordinaria di archeologia e storia dell’arte paleocristiana e bizantina presso l’Università del Salento, hanno reso possibile l’individuazione e la decifrazione, sugli archi della navata, di un ciclo pittorico relativo ai temi della vita e dei miracoli di San Nicola di Myra. Precisamente si tratta di quattro affreschi campiti negli archi che, superstiti solo in parte e di difficilissima lettura, costituiscono quasi certamente solo una porzione di un ciclo agiografico più complesso.
Nel primo affresco, campito nel primo arco di sinistra e in parte obliterato da un rinforzo strutturale tardo, si osserva una consacrazione di San Nicola a diacono. Nel secondo, sul secondo arco di destra, alcuni particolari come un remo di nave e il volto del Santo su di essa, fanno pensare a una delle sue storie marinare e precisamente a quella che narra della sua apparizione sulla chiglia di un’imbarcazione che salverà da una furiosa tempesta assieme all’equipaggio. E’ noto che proprio San Nicola di Myra, del quale parte del nome “NIKO(…)” sopravvive in caratteri greci nello stesso affresco, è riconosciuto come il protettore dei marinai per le diverse storie legate ai salvataggi in mare. Il terzo affresco, ubicato sull’arco successivo al precedente, raffigura una scena frammentaria riferibile presumibilmente alla storia del Santo che abbatte, nella città di Plakoma in Licia, un cipresso infestato dai demoni.
Il quarto ed ultimo si trova nella parte opposta al secondo arco di destra e qui si nota una scena, anche questa in parte occultata da un rinforzo strutturale tardo, dove alla destra di San Nicola c’è un edificio distrutto. Quest’ultimo elemento fa supporre che la scena si riferisca all’episodio nel quale si narra della grazia ricevuta da tre generali bizantini scampati per due volte alla carcerazione per intercessione di Santo Vescovo. Tutti e quattro gli affreschi, secondo la lettura della prof.ssa Falla Castelfranchi, sarebbero introdotti da un’altra immagine del Santo che, posto frontalmente alla greca maniera alla base del primo arco di sinistra, sembra voler opportunamente segnalare l’inizio di questo ciclo agiografico.
I quattro affreschi in questione possono essere retrodatati ad almeno quarant’anni prima del 1087, lo stesso anno in cui il Santo vescovo è traslato in Bari. Tale ipotesi è ben supportata dalla presenza di una porzione di affresco, tra il secondo ed il terzo arco della parete destra verso l’abside, in cui è raffigurato parte di un trono gemmato oltre a un paio di piedi calzati da sandali e, più a destra, anche una donna dai capelli lunghi, coronata e inginocchiata ai piedi di un Cristo in trono. La corona per le sue semplici fattezze è molto simile alla stessa dell’imperatore di Bisanzio Costantino IX Monomaco (1000-1045) e perciò la figura femminile di questa scena potrebbe
Iscrizione greca del tema nicolaiano (ph. V. D'Aurelio)
impersonare l’imperatrice Zoe di Bisanzio (978-1050) della dinastia dei Macedoni e sposa proprio di quest’ultimo. In effetti, la basilissa crede che per intercessione di San Nicola sia riuscita a liberarsi dal ribelle catapano d’Italia Giorgio Maniace (998-1043) e perciò promuove, quale ex-voto al Santo Vescovo, la ricostruzione, seguita anche da una vasta campagna pittorica sul tema nicolaiano, del santuario di San Nicola a Myra, l’attuale Demre in Licia, così come comprova la data del 1042 qui trovata scritta. La relazione che intercorre tra il ciclo agiografico di San Nicola nella chiesa di Santa Marina a Muro Leccese e l’imperatrice Zoe di Bisanzio può sembrare in prima analisi molto vago anche in considerazione della distanza geografica che lega i due luoghi.
Tuttavia, nell’XI sec. un particolare evento coinvolge direttamente la Terra d’Otranto con gli imperatori di Bisanzio e una piccola puntualizzazione storica può meglio chiarire questa correlazione che rende più verosimile la presenza e l’influenza in Muro Leccese, agli inizi dell’anno 1000, di un clima artistico pervenuto dalla lontana Turchia. E’, infatti, nel 1042 che il Maniace si porta nella città di Otranto mentre l’imperatrice Zoe, che lo ha nominato catapano nell’aprile dello stesso anno, è appena ritornata al potere dopo aver rovesciato Michele V Calafato (1015-1042) nipote del suo secondo marito Michele IV Paflagonio (1010-1041). Nello stesso anno Zoe sposa Costantino IX Monomaco. Il Maniace, come già si era verificato, è nuovamente vittima di un intrigo di corte organizzato da Romano Sclero, parente dell’imperatrice, che ha interessi
Corona di Zoe (ph. V. D'Aurelio)
per i suoi possedimenti in Anatolia. Lo Sclero, rientrato da qualche tempo nella corte bizantina, cospira al fine di ottenere un ritorno del Maniace a Costantinopoli e perciò, nel frattempo, gli distrugge anche i possedimenti e gli viola la moglie. L’imperatore Costantino, sulle influenze generate dalla cospirazione, decide quindi di sostituire il catapano con lo Sclero ma la sostituzione, com’è prevedibile, è molto sgradita al Maniace. A seguito dell’ordine imperiale imposto al Maniace di consegnare il potere a Romano Sclero, il catapano si reca ad Otranto per accogliere il suo sostituto. L’accoglienza riservata allo Sclero non è delle migliori poiché il Maniace pensa bene di tappargli bocca, naso e orecchie con sterco di cavallo per poi torturalo sino alla morte.
Quest’atto d’insubordinazione nei confronti dell’imperatore rende il Maniace un criminale da punire con la morte. Cosciente di questo, il catapano si dichiara a sua volta imperatore e muove guerra alla coppia imperiale, Costantino IX e Zoe. Il suo obiettivo è quello di detronizzare il basileus bizantino e, forte del suo esercito che lo venera, si imbarca per la Grecia alla volta di Costantinopoli. E’ in Macedonia nel 1043 dove incontra e sconfigge l’esercito imperiale ma, al termine della battaglia, una freccia scagliata da un traditore del suo esercito lo uccide. E’ questo, dunque, il momento storico nel quale gli affreschi più antichi della chiesa di Santa Marina trovano collocazione così da poter essere posti in diretta relazione con la campagna pittorica che l’imperatrice Zoe promuove in Asia Minore a memoria, come anticipato, dell’aiuto dato da San Nicola per sconfiggere definitivamente il valoroso catapano d’Italia Giorgio Maniace.
Suffragata quindi la datazione degli affreschi muresi all’anno 1043 attraverso le evidenze storiche accennate, ne perviene che gli stessi, relativamente alla vita del Santo di Myra, sono i più antichi di questo genere nell’intero arco mediterraneo e contestualmente configurano la chiesa di Santa Marina come uno dei maggiori esempi di arte bizantina del Mezzogiorno.
Lacerto di affresco nicolaiano (ph. V. D'Aurelio)