Senza avventurarmi in disquisizioni epistemologiche ma facendo buon uso della stringatezza sostengo che la scienza è un sistema di conoscenza efficace, intendendo dire che funziona. Funziona un numero di volte nettamente superiore agli altri sistemi, anche se non funziona sempre. E che questo sistema, nonostante tutto, fosse e sia insito nella nostra stessa natura, nel nostro stesso modo di saggiare la realtà, lo dimostra il fatto che anche prima di quel discrimine galileiano filosofi, architetti e artisti illuminati lo utilizzavano: parlo della riproducibilità e dell'esperimento. Se per un attimo pensiamo a come l'uomo abbia conquistato l'agricoltura, abbia edificato strutture anche imponenti, abbia trasportato oggetti molto pesanti per lunghe distanze, abbia scoperto e codificato il moto relativo degli astri, non possiamo immaginarcelo mentre se ne sta lì a seminare, edificare, trasportare e osservare il cielo nel modo migliore al primo colpo ma dobbiamo pensarlo come indaffarato a provare e riprovare finchè non raggiungeva ciò che voleva. Provare e riprovare finchè non emerge la conoscenza. Inoltre, noi sappiamo che da quella prima conoscenza, apparentemente così facile da trovare con prove e intuizioni successive, per passare a una conoscenza superiore occorre qualcosa in più del semplice prova e riprova. Occorre cioè immaginare anche qualcosa che va al di là del mero dato sensoriale. Ma questa è una discussione che ci porterebbe lontano. L'edizione di questo mese del Carnevale della Chimica ha come tema lo studio della chimica e della sua divulgazione fuori porta, intendendo non solo fuori dal nostro paese ma anche fuori dal nostro piccolo orticello di conoscenze abituali e quindi nelle università, nei centri di ricerca, nelle aziende, su internet e, genericamente, in ogni luogo che non frequentiamo solitamente. Ho immediatamente pensato all'Africa, e a quanto questo continente deve al mondo occidentale, massimamente all'Europa, sia in termini di miglioramento che di peggioramento delle loro condizioni. Nella mia sommaria ricostruzione l'Africa deve ai conquistatori europei quel passaggio dalla condizione di cacciatori-raccoglitori all'agricoltura e allo sviluppo tecnologico, ma deve anche conquista, riduzione in schiavitù, sfruttamento e distruzione. Jared Diamond, in libro che ha avuto un enorme successo[1], ha descritto alcuni dei motivi per cui il continente africano (e altri) non ha seguito lo stesso destino di quello europeo, riconoscendo nell'assenza di condizioni ambientali favorevoli all'agricoltura e all'allevamento uno dei punti fondamentali. Il pensiero mi è dunque corso a questa domanda: qual è il livello attuale della ricerca scientifica in Africa e, segnatamente, della ricerca in campo chimico?
La chimica in Africa. Un primo insieme di dati che contribuiscono a inquadrare la situazione è quello fornito dagli Essential science indicators, indici internazionali pubblicati da Thomson-Reuter insieme al catalogo delle riviste scientifiche e al loro impact factor. Si tratta, in poche parole, della bibbia della ricerca scientifica. Ebbene, nei primi posti di queste classifiche che segnalano i paesi con maggior numero di articoli o citazioni, indici di attività e riconoscimento internazionale, non vi sono mai quelli africani. Ecco, per esempio, la classifica dei primi venti paesi al mondo per numero di articoli scientifici e per numero di citazioni ricevute, in tutti i campi scientifici:
fonte science watch
Non è diversa la situazione se si prende in considerazione il campo della chimica (si veda sul sito di Science Watch l'elenco completo dei primi dieci posti).fonte science watch
E non cambia se si prendono in considerazione i primi 100 chimici al mondo (su circa un milione), per citazioni, e il paese delle loro relative affiliazioni (anche se non viene analizzato il paese di appartenenza del chimico): 70 appartengono agli USA, 7 alla Germania, 4 al Regno Unito, 3 alla Corea del Sud, 2 ciascuno a Canada, Francia, Danimarca e Svizzera e 1 ciascuno a Australia, Belgio, Svezia, Italia, Israele, Sud Africa, Brasile, Giappone e Singapore. Ecco una piccola parte della classifica disponile per intero qui.fonte science watch
Sconsolatamente si può osservare come i ricercatori e le università africane siano assenti dai primi posti di queste classifiche. Le cause di questa assenza sono genericamente da rintracciare nell'arretratezza economica, nell'instabilità politica, e in tutte le conseguenze sociali e culturali che ne derivano. Pur non potendo fare molto sulle due cause principali, le associazioni scientifiche dei paesi sviluppati cercano di aiutare i paesi in via di sviluppo a superare il divario di conoscenza concedendogli di accedere gratuitamente alle loro pubblicazioni. E' quello che per esempio ha fatto nel 2006 la Royal Society of Chemistry
For many years the RSC has donated journals to departmental libraries in developing countries, but with this initiative the RSC becomes the first learned society to provide free access to its journals' back-catalogue, from 1841 to 2004. This is just one example of the work the RSC is doing to support science and technology in the developing world.L'iniziativa, come rilevato successivamente, riscuoteva un successo che andava oltre ogni aspettativa, tanto da far costituire una Pan Africa Chemistry Network, una rete di conoscenza che attraversava il continente africano con lo scopo di
help African countries to integrate into regional, national and international scientific networkse che può avere l'effetto di migliorare la qualità di vita relativamente a tre aspetti essenziali: la produttività agricola, la qualità dell'acqua, la ricchezza e l'ambiente.
Ricchezza e ambiente. Il terzo dei rapporti citati, uscito nel 2011 e dal titolo Wealth Not Waste: Green Science and Engineering for Sustainable Growth in Africa, affronta il classico problema che ogni società avanzata deve prima o poi affrontare e che, oggi, ricade anche sulle economie in espansione. Inquinamento, gestione dei rifiuti, economia sostenibile, sono alcuni dei temi con i quali devono fare i conti i paesi sviluppati ma che, come detto, interessano anche quelli in via di sviluppo, vuoi perchè la salvaguardia dell'ambiente, sfruttando le esperienze pregresse di chi ci è già passato, è comunque utile, vuoi perchè una certa parte di ambiente non ha confini nazionali e le misure di prevenzione finiscono per giovare a tutti. Uno degli aspetti che voglio segnalarvi è l'incoraggiamento della Pan Africa Chemistry Network all'utilizzo di prodotti naturali , abbondanti in quelle terre, usando tecniche di green chemistry. Da questi prodotti naturali possono prodursi fitofarmaceutici, cosmetici, lubrificanti e così via senza utilizzare, nel procedimento di estrazione dei principi attivi, solventi derivati dal petrolio che sono tossici e possono danneggiare l'ambiente. Di seguito una tabella con i vari procedimenti per estrarre e purificare i composti chimici di interesse industriale con i metodi convenzionali e con quelli raccomandati dalla green chemistry.
Dalle poche note sopra riportate emerge, anche se appena tratteggiato, un quadro diverso da quello che poteva risaltare dalla consultazione degli indici degli Essential science indicators. La chimica africana, lungi dall'essere al momento il settore più avanzato della chimica internazionale non è nemmeno così arretrata come un'osservazione superficiale potrebbe far pensare. Giustamente, gli sforzi dei centri di ricerca di questi paesi, sia pubblici che privati, che in questo si avvalgono dell'aiuto di quelli occidentali afferenti al Pan Africa Chemistry Network, si rivolgono agli aspetti essenziali e alle necessità delle comunità piccole e grandi in cui sono divise le varie regioni africane. Insomma, le necessità delle piccole comunità hanno la stessa importanza delle esigenze delle grandi aziende. Per questo motivo la soluzione di problemi locali viene incentivata, perchè rappresenta il passaggio necessario per quel salto di qualità che conduce dalla povertà al benessere. Insieme a questo, in queste economie e società in via di sviluppo, la scienza ha l'impegno preciso di sensibilizzare opinione pubblica e attori economici sulla necessità dello sviluppo sostenibile, sull'adozione di tecniche e procedure col minore impatto ambientale, e sull'utilizzo di quella che viene chiamata green chemistry.
[1] Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi
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