La Cina contro i suoi demoni

Creato il 18 maggio 2015 da Pietro Acquistapace

Una moschea a Qiemo – Xinjiang

Secondo le leggende, il deserto del Taklamakan sarebbe stato popolato da demoni, la cui voce i viaggiatori potevano udire durante le tempeste di sabbia che, nel corso dei secoli, hanno ricoperto intere città. Per l’impero cinese il Taklamakan è sempre stato un confine oltre cui si stendeva un mondo poco conosciuto, spesso ostile, la cui conquista non poteva che andare di pari passo con la dominazione. Oggi i demoni sono usciti dalle sabbie del deserto per attestarsi nelle oasi che le circondano, prendendo il volto del terrorismo islamico. Demoni che forse la Cina non sa più riconoscere.

Il Xinjiang è una regione strategica per l’economia cinese, da qui passa il progetto della nuova Via della Seta, una rete commerciale che sulle rotte delle antiche vie carovaniere segna la rinnovata penetrazione della Cina verso ovest. Un Xinjang pacificato è dunque di primaria importanza, ma pacificato da chi e da cosa? Il pericolo è che Pechino veda questo territorio attraverso gli occhi della leggenda, trovando demoni dove invece vi sono persone dalla cultura radicamente diversa. Pacificare significherebbe quindi rendere il più riconoscibile possibile, eliminando ogni differenza.

Questa lotta alla diversità assume a tratti dei contorni paradossali, come nelle recenti leggi che obbigano i negozianti del Xinjiang a vendere alcool e sigarette, in aperto contrasto con la loro fede religiosa. Le autorità di Pechino hanno invaso una vera e propria campagna per il trasferimento di cinesi di etnia han nel Xinjiang, sponsorizzato inoltre come meta turistica. La Cina è presente nella regione da secoli, tuttavia molte cose sono cambiate dai tempi delle campagne militari verso l’Asia Centrale, probabilmente in peggio. Quella di oggi è un’epoca globalizzata.

Il non capire che certi provvedimenti non possono che acuire lo scontro con i musulmani del Xinjiang, sembra avere molto a che fare con la superficialità del pensiero globalizzato. Un pensiero omogeneizzante che riduce la diversità a dati statistici, sempre con un’ottica economica spesso a breve termine. La Cina, quasi schiava della sua crescita, si ritrova ad essere un attore fondamentale del mondo globalizzato, arrivando ad avere interessi ovunque esistano fonti energetiche. Pechino potrebbe essere destinata a ripetere, errori compresi, il percorso che fu degli Stati Uniti.

La grande differenza con il passato è la presenza di una classe media, ricca e vorace. L’imperatore, nelle sue vesti odierne, non è più solo nella sua politica verso il Xinjiang. Oggi vittorie e sconfitte devono rendere conto ad una classe media che, per il momento, sembra aver assorbito dall’Occidente solo la frenesia di guadagno. Per il governo cinese il controllo del processo di sviluppo diventa sempre più complicato, dovendo trovare un punto di equibrio tra la crescita del paese e la lotta contro la nascita di forze concorrenziali. Economia e politica rischiano di collidere.

In quest’ottica si può leggere l’impegno preso dalle autorità nel combattere la corruzione, diventato un vero e proprio mantra. La corruzione è il punto in cui lo Stato rischia di venire meno, quella zona oscura dove il politico si fa imprenditore esautorando il potere governativo in nome di leggi altre, non ufficialmente riconosciute. In nome del controllo politico la Cina potrebbe rinunciare alla crescita economica, con un processo di chiusura non nuovo nella sua Storia. Tuttavia nel mondo di oggi isolarsi dal resto del mondo non è certo cosa semplice.

La classe dirigente cinese dovrà avere una notevole capacità di analisi, che tuttavia al momento non pare esserci, almeno a giudicare dalla gestione della questione musulmana del Xinjiang. Le leggi contro l’Islam potrebbero dare forza al demone del fondamentalismo islamico, inimicandosi inoltre un mondo musulmano al quale Pechino è sempre più legata commercialmente. I legami con paesi quali Iran e Pakistan sono sempre più stretti, mentre si allentano quelli con la Russia e peggiorano quelli con l’India. Nel frattempo fa la sua comparsa il demone di una borghesia nazionalista ed aggressiva.

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