Ammetto, solitamente, di essere un poco allergica alle ricorrenze, per il semplice motivo che pare richiedano di compiere delle azioni, o peggio provare dei sentimenti, a comando.
Per questa data in particolare, però, mi sento di compiere un’eccezione, apprezzandola, sostenendola e riconoscendone il valore.
In primo luogo, ovviamente, per il significato. Poi perché è un’occasione per rispolverare e rimettere in circolo i libri, le storie, e tutti quei veicoli di memoria che mi piace definire caldi e vivi.
Passando gli anni, infatti, si va via via perdendo quello che è il collegamento diretto con gli eventi tragici della seconda guerra mondiale.
Accade che le persone che hanno vissuto quegli anni e ne sono state segnate scompaiono e, per forza di cose, le occasioni per i bambini e i ragazzi di oggi di ricevere testimonianza con il calore del racconto di un familiare o di una persona cara si fanno sempre più rare.
Si studia, certo, tutto sui libri di scuola ma, nei testi, è difficile respirare vero pathos, condividere quella forza emotiva che dà un senso al ricordare, e lo rende un prodromo indispensabile al sorgere dell’impegno affinché tutto ciò che è accaduto non si ripeta.
Il compito fondamentale di tramandare una testimonianza calda e viva passa sempre più, quindi, a carico dei libri, dei film, del teatro, delle forme d’arte.
Trasmettere emozioni per rendere forte il coinvolgimento e crescere nuove generazioni che, memori dell’orrore, corrano meno il rischio di ricadervi.
E’ importante però che la Memoria, oltre a serbare e tramandare le incredibili bassezze e degenerazioni umane, sappia anche raccontare i gesti nobili, alti e coraggiosi di tanti uomini e donne che in quegli anni seppero ribellarsi e grazie ai quali, e alle quali, fascismi e nazismi furono sconfitti e tante persone salvate.
Eroi senza spade e mantelli, gente spesso semplice, cittadini e cittadine, famiglie, umili lavoratori, giovani e anziani… un’umanità varia che, di fronte alla violenza e alla minaccia scelse di non sottostare, rischiando sovente la propria pelle in nome di un ideale di giustizia e per la difesa dell’altrui vita.
In Danimarca furono davvero in molti questi coraggiosi, tanto che quasi tutti gli 8000 ebrei presenti sul territorio nazionale nel 1943 – anno in cui la Germania prese il potere spodestando il governo locale – sfuggirono ai campi di concentramento, nascondendosi nelle case private e in altri edifici custoditi dai cittadini.
Il piccolo villaggio di pescatori di Gilleleje protesse ben 1700 persone, tenendole al sicuro nelle proprie cantine, nutrendole, provvedendo ai loro bisogni e, alla fine, guidandole verso la salvezza: le imbarcazioni che dal porto del paese le condussero nella vicina Svezia, neutrale e sicura.
Questa storia intensa, commovente, emozionante e significativa è narrata in un bellissimo albo illustrato – “La città che sussurrò” di Jennifer Elvgren e Fabio Santomauro- appena pubblicato in Italia dalla casa editrice Giuntina, nella sua collana per bambini di recente creazione.
Grandi tavole nelle quali predominano elegantemente i toni del grigio, del blu-ciano e del verde interrotti dalle tinte più calde del rosso e marrone. Un tratto agile, riempito da colori pastosi, a delineare personaggi che, per vivacità e simpatia, rassomiglieremmo alle figure del fumetto e scene ampie, esaurientemente descrittive ma allo stesso tempo pulite, limpide, accoglienti e familiari.
La scelta narrativa è molto efficace nell’affidare il racconto in prima persona ad una bambina, la quale viene immaginata anche come colei che, avendo l’idea risolutiva, porta le vicende ad un epilogo felice.
Uno stratagemma letterario che ha un duplice valore: da un lato costruisce una storia a misura di piccolo lettore, la rende a lui più vicina, permette al bimbo che ascolta e osserva di immedesimarsi con la narratrice, con i suoi sentimenti e di gioire nel finale con maggiore immediatezza. Dall’altro sottolinea il ruolo attivo che tutti possono avere anche in vicende drammatiche.
L’esempio assume così importanza e il messaggio passato risulta chiaro: anche un bambino, con coraggio, altruismo e intelligenza può contribuire ad un svolta decisiva. Nessuno è secondario quindi tutti abbiamo sempre il dovere, e il diritto, di impegnarci.
La piccola Anett viene, un mattino, informata dai genitori della presenza di nuovi amici in cantina. C’è bisogno di poche spiegazioni e dettagli perché anche una bimba, in quegli anni drammatici, comprende rapidamente che gli ospiti sono ebrei nascosti per impedirne la deportazione.
Scende a portar loro del pane. Ha un po’ di paura: le scale al buio spaventano. Ma la donna e il bambino seduti nell’ombra sussurrano, parlando tra loro, e le voci sommesse e discrete guidano la piccola protagonista nell’ombra e la tranquillizzano.
Basta accennare a nuovi amici, a voce bassa naturalmente, e chiunque capisce. Il panettiere aggiunge così del pane al consueto involucro, la bibliotecaria passa sotto banco dei libri in più per chi ha tanto tempo da dover trascorrere in silenzio, il contadino abbonda con le uova.
Tutti offrono una mano, ognuno secondo le proprie possibilità e anche un poco oltre.
Ma i nazisti sono presenti e ogni giorno bussano ad una porta, cercando, scrutando.
I clandestini devono essere necessariamente portati in salvo ma il tempo nuvoloso oscura le notti e rende difficile per gli ebrei riuscire ad orientarsi sulla via per il porto, dal quale potranno imbarcarsi alla volta della Svezia.
E’ Anett a trovare la soluzione: così come le voci sussurrate dagli amici nascosti nella cantina hanno aiutato lei a muoversi nel buio del sottoscala senza paura, così gli abitanti del paese, a bassa voce dietro le porte socchiuse delle proprie abitazioni, avrebbero potuto guidare i fuggiaschi nell’oscurità della sera senza luna.
E così fu. Un brusio di solidarietà appena percettibile, in una notte di tanti fa, ha portato alla salvezza uomini, donne e bambini che parevano senza speranza.
Parole mormorate a tracciare una via come fiabesche molliche di pane, efficaci contro mostri più cattivi degli orchi e delle streghe, perché uomini in carne ed ossa e non mostri dell’immaginario fantastico.
Splendido e potente il significato, anche metaforico, della vittoria di un gruppo di persone semplici che sussurrano contro un esercito prepotente e rumoroso.
Durante la lettura dell’albo è facile immaginare il suono delle varie scene: un brusio lieve quando ad essere raffigurati sono i paesani e le persone nascoste, uno stridore di ordini gridati, un fracasso di scarpe e ferraglie quando si mostrano i nazisti.
Chiudo con l’invito a notare la delicatezza e la poesia di un particolare del titolo: al posto dell’accento sulla parola sussurro compare un uccello che la muta magicamente in sussurrò. In un attimo il pensiero corre alle ali, al prendere il volo, all’essere liberi, alla possibilità di mettersi in salvo… Come capitò a Gilleleje, in Danimarca, a millesettecento persone grazie a fratelli e sorelle coraggiosi e generosi.
(età consigliata: dai sette anni)
Se il libro ti piace, puoi comprarlo qui: La città che sussurrò